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R Recensione

8/10

The Road regia di John Hillcoat

Drammatico
recensione di Matteo Triola

In uno scenario post-apocalittico, sconvolto da una catastrofe non meglio precisata (guerra nucleare? Catastrofe naturale?), un padre e un figlio vagano disperati alla ricerca di cibo e acqua, avendo come unico scopo della loro ricerca l'Oceano, simbolo di vita e di speranza. I due sopravvissuti dovranno vedersela con insidie e minacce di ogni genere, e persino difendersi dagli altri sopravvissuti, perché vista l’assoluta scarsità di risorse il cannibalismo è diventata la regola o quasi. La diffidenza negli altri e la legge del più forte sono portati in questo film all'ennesima potenza, come chiave di lettura di un mondo prossimo - ma nemmeno troppo lontano dalla realtà di oggi - e sarà il bambino a schiudere una soglia difficile da aprire...quella della speranza e della fiducia nel prossimo.

 

Immaginate un mondo senza forma e senza colori, dominato da un cromatismo cianotico e grigio che non lascia quasi mai trasparire il sole e il calore che ne deriva. Un mondo in cui tutto ciò che l’uomo ha costruito in millenni di storia (città, computer, industrie, tecnologie) è andato distrutto o sta lentamente morendo. La natura stessa sembra aver perso il suo istinto evolutivo: non ci sono più uccelli, né altre forme animali, e le piante crollano inaridite al suolo. L'umanità è stata cancellata, ridotta al suo fantasma che cerca disperatamente di trascinarsi avanti.

Naturalmente scenario ideale di questa nuova catastrofe alla “Io sono leggenda” non poteva che essere l'America, quella stessa America descritta dal romanzo di Cormac McCarthy, “La strada” - lo scrittore americano si rivela un'ottima fonte di ispirazione per il cinema, dopo il successo di “Non è un paese per vecchi”, opera trasposta dai fratelli Coen - dal quale il regista australiano John Hillcoat prende a piene mani, e che riversa negli spazi e negli scenari appartenenti a località reali come New Orleans, la Pennsylvania Highway e ancora Pittsburgh.

I due protagonisti, interpretati da Viggo Mortensen nelle vesti del padre e dal piccolo Kodi Smit - Mc Phee (età 10 anni), nelle vesti del bambino timido e gentile, sono chiamati ogni giorno a partecipare ad un gioco crudele e spietato, in cui è in ballo la loro sopravvivenza (morale, e non solo materiale, come scopriremo più avanti). Dopo il suicidio della madre - Charlize Theron, che vediamo solo in brevi flashback, e che ha preferito la morte ad un futuro incerto - il padre è costretto a crescere da solo il bambino, cercando di farlo maturare il prima possibile e preparandolo al momento in cui non ci sarà più. La denutrizione, la fame e la malattia costringono il padre ad essere severo e duro con il figlio, cercando di fargli capire la crudeltà che li circonda; e anche quando incontrano qualcuno che non ha intenzione di mangiarli per cena, o di derubarli, non c'è spazio per la gentilezza e le carinerie da buon vicinato. La meta del film, e dei due vagabondi, resta una sola: l'Oceano, e con esso la redenzione del genere umano.

Sublime metafora dai toni crudi, questa immagine dai tratti fortemente pittorici e poetici riesce a farci immedesimare con lo stato d'animo dei protagonisti, ancor senza cadere nella banalizzazione dei temi, già trattati da molti film in maniera dozzinale. Il bambino, disperatamente attaccato al padre ma bisognoso di qualcuno della sua età per condividere ancora una volta giochi e carezze, non lesina rimproveri al genitore, che si trincera dietro una cortina di diffidenza verso il prossimo. Si ritaglierà così il ruolo di “coscienza” e di portavoce del messaggio finale del regista.

Caratterizzato per lo più dall'assenza della colonna sonora, parca sia nei dialoghi che nelle musiche, a sottolineare la severità del tema affrontato e la desolazione che ne deriva, il film ci mostra come dei tanti affanni di cui ci facciamo carico rimangano alla fine gli oggetti. In un panorama desolato e dominato dalle bufere di neve, dal vento e da silenziose foreste, rimangono le case piene di oggetti e di elettrodomestici silenziosi, che tacciono. E gli uomini, i pochi sopravvissuti, sono ridotti ad essere il cibo di altri uomini. Che sia un piccolo saggio critico sul consumismo?

Certo è che il confronto fra la prosa scabra ma vibrante del libro e le immagini inevitabilmente tetre e crude del film sia ben riuscito, anche se con qualche piccolo eccesso di drammaticità che in questi casi risulta inevitabile.

L'uso della voice-over del narratore e protagonista Mortensen, con qualche indugio in alcuni momenti del film, rischiano di appesantire eccessivamente e di sovraccaricare lo spettatore, e tuttavia non pregiudicano la generale riuscita del film.

Non si potrà fare a meno di uscire dalla sala riflettendo su alcuni temi, con qualche domanda che ronza nella testa, chiedendoci: “E io, al posto loro, che cosa avrei fatto?”

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Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 7 voti.

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fabfabfab (ha votato 8 questo film) alle 18:53 del 15 luglio 2010 ha scritto:

Bellissimo film, quasi in grado di reggere il paragone con il capolavoro di Cormac McCarthy. Ottima recensione.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo film) alle 14:05 del 15 agosto 2015 ha scritto:

Un bel film. Da molte parti è stato criticato per alcune scene un po' più tenui e, me lo si conceda, umane: per me sono integrate bene con l'atmosfera generale (forse che l'apocalissi debba sempre escludere a priori la pietas?). Il finale, forse, è un po' troppo ottimista rispetto all'originale cartaceo di McCarthy, e la colonna sonora di Ellis e Cave indugia oltre il dovuto nel mélange: ma si può perdonare. Da vedere solo se si è letto prima il libro.