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5/10

The Guest regia di Adam Wingard

Thriller
recensione di Davide Di Legge

Un soldato entra nella vita della famiglia Peterson, presentandosi come un amico del figlio, deceduto in guerra.  Dopo che il giovane è stato accolto in casa, cominciano a verificarsi una serie di incidenti mortali, che sembrano in qualche modo collegati con la sua presenza ma di cui nessuno della famiglia si preoccupa, tranne la giovane Anna. Sarà lei a decidere di capire fino in fondo chi è veramente il nuovo arrivato.

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un tentativo di resistenza del cinema di "serie b" dall'attacco portato dai grandi titoli blockbuster, ma allo stesso tempo c'è ormai un intero mondo cinematografico, quello appunto della cosiddetta serie b, che viene fagocitato da un mercato mondiale in cui ciò che trionfa non è tanto l'idea di cinema come arte nel senso più largo del termine, ma il puro intrattenimento che fa mercato e incassi. The Guest di Adam Wingard è un film che può essere utilizzato, al di là del suo valore intrinseco, come uno degli esempi che dimostra lo stato di quella grande fetta filmica che è l'underground. Pellicole che purtroppo per i registi possono giocare su un budget risicato, su attori che non sono espressione del grande "star system" e su una precedenza pubblicitaria pressochè nulla. La piccola fetta che riescono a raggiungere è quella delle poche sale in cui vengono distribuiti e il circuito dell'home video, ormai sempre più avvitato su se stesso. In questo scenario ahinoi ormai diffusissimo, The Guest è un altro di quegli esempi sulla difficoltà di resistere al magma compulsivo del cinema patinato da spot pubblicitario.

Wingard, che è regista preparato, autore dell'interessante You're Next, quì prova a variare le carte in tavola, sfruttando la sua anima horror per tracciare un film che dall'orrore riprende solo alcune atmosfere, ma che in realtà è un thriller a tutti gli effetti. L'interessante scelta di catapultare il militare David (Dan Stevens) nella famiglia Peterson è una riuscita scelta di sceneggiatura che lascia aperti molteplici scenari, evitando di dare punti di riferimenti allo spettatore. Scelta saggia che Wingard, grazie allo script di Simon Barrett, porta avanti fino alla fine lasciando irrisolte le domande che il film lancia sull'enigmatica figura di David. L'atmosfera complessiva soffusa e ricercata, la colonna sonora elettronica stile Carpenter (e che assomiglia alle scelte di Mickle per Cold in July, altro titolo thriller low budget) confermano come Wingard abbia gusto e saggezza nell'architettura estetica e formale dei suoi lavori.

La grazia della messa in scena sopperisce sempre più spesso (anche in questi film indipendenti), ad altre mancanze che purtroppo sono il punto debole anche di The Guest. Fin dall'inizio abbiamo una storia quantomeno inverosimile: quando si parla di cinema questo non è sempre un problema, ma lo diventa per quelle pellicole che puntano sul realismo e che cercano di dare alla vicenda delle sembianze il più possibile attinenti alla realtà. Sotto questo profilo risulta complicato non rintracciare nella prima parte del film delle forzature con cui la sceneggiatura cerca di appianare e mettere da parte i dubbi che l'ospite genera nei membri della famiglia da cui è stato accolto, tanto più che quando Wingard capisce di aver troppo calcato la mano su una storia che si impantana in bullismo scolastico e feste di adolescenti, vira la seconda metà del film verso una svolta action movie che non ha problemi a puntare su scene forti e momenti "gore" per rivitalizzare un film che fino a quel momento era formalmente accattivante ma troppo debitore a stereotipi e situazioni già esplorate in tanti film simili. Anche la scelta di rendere enigmatico, silenzioso e quasi "mistico" il personaggio di David, più che dare reale suspense al film, finisce per sembrare la copia sbiadita del Ryan Gosling che abbiamo apprezzato in Drive, film che ha evidentemente ispirato Wingard. Insomma, il thriller indecifrabile iniziale lascia il posto ad un action che dice poco e che si limita a riproporre stilemi già osservati, finendo anche per cadere in scene che stonano con il clima complessivo, come la sequenza finale che ha anche il demerito di occupare troppo screentime.

L'opera di Adam Wingard conferma un regista che conosce il mezzo e che sa girare con fermezza, tra il classico e il personale. Il suo film è un "campione" di un sottobosco cinematografico che esiste e che cerca di farsi spazio in un mercato mondiale sempre più complesso, ma che finisce per smarrirsi nell'incapacità di essere davvero qualcosa che vada oltre rispetto al semplice racconto di una storia. C'è gusto estetico, c'è un plot potenzialmente interessante, c'è una forma accattivante, ma manca quasi completamente l'anima, il sentimento in grado di tenere in piedi con più forza un film che ha diverse lacune di sceneggiatura e che finisce per pagare dei ribaltamenti di trama facilmente prevedibili. Lo spettatore se ne accorge, non la famiglia che accoglie l'ospite...

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