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7/10

The Divergent Series: Insurgent regia di Robert Schwentke

Azione
recensione di Ivana Mette

Dopo aver abbandonato la loro fazione per essere stati identificati come Divergenti, Tris (Shailene Woodley) e Quattro (Theo James) si rifugiano insieme a Peter (Miles Teller) dai Pacifici, una delle cinque fazioni in cui è organizzata la società della post apocalittica Chicago. Nel frattempo le truppe armate guidate da Eric (Jai Courtney), su ordine di Jeanine (Kate Winslet), iniziano a dare la caccia ai Divergenti. Nella disperata speranza di cercare alleati e di scoprire il segreto della morte dei suoi genitori, Tris intraprende un viaggio all'interno delle fazioni e di se stessa, scoprendo le sue paure e allo stesso tempo il segreto che si cela nelle mani degli Eruditi.

Secondo capitolo per la saga di Divergent che, dopo un anno dalla precedente apparizione torna sullo schermo riproponendo gli stessi personaggi e la stessa storia, ma con dei risvolti totalmente nuovi e delle prospettive che per certi versi si distaccano molto dal primo capitolo della saga, ma che mantengono sempre il filone della storia lineare e in sintonia con la pellicola precedente. L'entrata in scena a pochi minuti dall'inizio del film della figura imponente di Octavia Spencer ( Oscar 2012 per The Help) conferisce subito una soave solennità all'atmosfera iniziale, che poi continuerà ad essere sorretta da altri grandi nomi e personalità di spicco del panorama Hollywoodiano: Kate Winslet nel panni di Jeanin Matthews e Naomi Watts in quelli di Evelyn Eaton. Sebbene la scelta di scomodare la Spencer per soli dieci minuti di performance sia quasi un affronto alla sua bravura, la scelta dell'attrice per il ruolo è più che perfetta. È sia un modo per aprire il film con impatto e catturare subito inconsciamente l'attenzione dello spettatore, ma anche una maniera per fornire al personaggio da lei interpretato di Johanna Reyes, per altro molto amato dai lettori della saga, quella forza e allo stesso tempo quel candore che dovevano caratterizzarlo.

È una donna che, per quanto abbia scelto la strada della pace, ha anche conosciuto e vissuto la violenza, come rappresentano, senza bisogno di parole esplicite o riferimenti casuali, le cicatrici che mostra sul volto. Una donna forte dunque, seppur dall'animo pacifico, come appunto la fazione a cui appartiene e proprio per queste sue caratteristiche ibride entra in empatia con la protagonista e ne comprende il dolore. E, senz'altro, in tutto ciò, la Spencer, seppur in una performance breve, non poteva che eccellere. Interessante risulta la resa delle location e il rilevante uso di effetti speciali che, seppur con qualche lieve pecca, dominino gran parte del film, come vuole ormai il cinema Hollywoodiano per la grandi masse, riescono a trovare il giusto equilibrio con lo sviluppo, metaforicamente parlando, analogico della trama. In questo si discosta da altri film del genere che, invece, fanno dei visual effects la caratteristica principale e dominante. Immergendo lo spettatore nel loro mondo spettacolare e fascinoso, spesso rischiano di far perdere al film la sua giusta natura e se vogliamo l'anima. Piacevole è notare che in Insurgent, largo spazio è stato dato in tal senso allo sviluppo personale e interpersonale dei personaggi, in particolare i protagonisti. Il loro rapporto si evolve, come allo stesso tempo si evolve la loro natura. Entrambi mostrano lati del loro carattere e della loro interiorità fino a quel momento tenuti celati e questo conferisce loro spessore, rendendo talvolta evidente che, ad un cambiamento esteriore, corrisponde anche un cambiamento interiore. Come accade alla stessa protagonista che, affranta e infranta dalle esperienze e dai dolori vissuti nel primo film, compie il gesto di tagliarsi i capelli drasticamente, mettendo alla luce quello che è il suo mutamento interno. Shailene Woodley ( Paradiso Amaro; La Vita Segreta di Una Teenager Americana; Colpa delle Stelle) riesce perfettamente nella parte, elevando il personaggio ancora più che nel primo film, affrontandone il mutamento nel passaggio da una ragazza semplice e a prima impressione debole, come risulta essere nella prima pellicola, senza mai però rendersi insignificante o, peggio, irritante, agli occhi di chi guarda, a ragazza forte, addestrata e soprattutto letale, di Insurgent. La Woodley ha successo nel ruolo e lo fa, non solo dimostrando la sua propensione per i ruoli drammatici, ma evidenziando anche il carattere e la forza di Tris, nonostante in lei sussista un sostrato interiore composto di paure e fragilità abilmente nascoste. In relazione a tale evoluzione dei personaggi e in generale a tutto il film, risulta impossibile non pensare alla saga di The Hunger Games, i cui punti di contatto sono più che evidenti. Non soltanto per quanto riguarda le protagoniste e la loro evoluzione oltre che i loro dolori, elementi che le rendono per questo figure complementari, o per l'ambientazione post apocalittica, ma anche per la tipologia di società che vanno a rappresentare. Sebbene in The Hunger Games la distopia-tirannide è già costituita all'inizio della saga, semplice è vederne il nesso con la indiretta dittatura di Insurgent. Tipologia di società che quasi vogliono essere una critica a quelle attuali, o un eco di quelle passate, e dunque un incitazione alla distruzione di tali regimi a dimostrazione che la forza e il coraggio di pochi può essere la salvezza di tanti e la promessa di un futuro migliore. Proseguendo il parallelismo con The Hunger Games, si può dire, inoltre, che Insurgent possiede la stessa violenza fisica e psicologica presente nella saga di Suzanne Collins, senza risparmiarsi in uccisioni e spargimenti di sangue, seppur messi in scena nella maniera più casta possibile con intelligenti cut che rispettano le politiche registiche da adottare in tali situazioni, ma che, allo stesso tempo, lasciano gli spettatori più curiosi con la acquolina in bocca. Insurgent ha dunque la violenza di The Hunger Games, ma ha anche il ritmo adrenalinico di Total Recall (2012) sebbene non esasperato come nella pellicola di Kurt Wimmer. E il suo è un ritmo incalzante, ma non sfiancante che fa vivere chi lo guarda in un costante stato tachicardico, ma che allo stesso tempo ne rende avvincente la visione. Nel complesso un film riuscito e il fatto che gli sceneggiatori siano Akiva Goldsman (A Beautiful Mind, Il Codice da Vinci) e Mark Bomback (Apes Revolution, Die Hard - Vivere o Morire, Total Recall) sicuramente ha giovato alla sua qualità, così come pure il fatto di avere tra i produttori Douglas Wick che con ben 22 nomination e 7 Oscar vinti, si può dire sappia decisamente dove e come investire i soldi. Senza tenere conto del fatto che il fatto di avere come co-produttrice la stessa scrittrice, Veronica Roth, ha reso possibile la realizzazione di un seguito il più possibile conforme e fedele al prodotto originale. Elemento che verrà  senza ombra di dubbio apprezzato dagli amanti dei libri. Film efficace e adatto ad una fascia di età con un range molto più ampio di quanto si possa credere. Non è sicuramente da annoverare tra i grandi capolavori della storia del cinema, ma, sicuramente, nel suo genere e nelle sue intenzioni, è un buon prodotto che si distacca da altri film di settore i quali presentano punti di contatto talvolta anche narrativi o legati a specifici elementi della narrazione, ma che sicuramente sono stati generati solo per arricchire le tasche a chi di dovere, realizzando in formato digitale trasposizioni di prodotti cartacei particolarmente amati dal pubblico (vedi Maze Runner - Il Labirinto) e impoverire, allo stesso tempo, la mente di chi li guarda.

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