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7/10

The Conjuring - Il caso Enfield regia di James Wan

Horror
recensione di Federica Cunego

Enfield, anni ’70. I coniugi Warren vengono coinvolti in un nuovo caso che vede coinvolta la famiglia Hodgson alle prese con inquietanti presenze che si manifestano nella loro abitazione.

 

La dichiarazione “tratto da una storia vera” sortisce sempre il suo effetto in quella pura essenza di finzione che è il cinema, ma ancora di più se ci si riferisce al genere horror. Gli spettatori di oggi, non più ingenui come un tempo e mediamente scettici riguardo la possibilità dell’esistenza di entità demoniache o il soprannaturale, per credere a ciò che viene messo in scena, per stabilire il così detto “patto di incredulità” con il regista, hanno bisogno di avere la percezione che quello che vedono sia quanto meno plausibile. Ed ecco che la saga di The Conjuring trova la giusta leva sulla quale fare pressione per diventare un grande fenomeno di culto per gli amanti dell’horror. Le più o meno probabili vicissitudini dei coniugi Warren trovano forza, vigore e credibilità all’interno della trama perfettamente tessuta dal regista intorno al corpo originale della storia. Poco importa quanta finzione sia stata inserita, quanto siano stati distorti i fatti, perché il punto non è questo: l’unico obiettivo è quello di trascinare con violenza e lo spettatore all’interno della narrazione per farlo spaventare. E, in questo senso, il film ha centrato l’obiettivo quasi in toto. Il regista abbandona la tecnica della camera a mano o ripresa dal vero, utilizzata nel primo film per raccontare gli studi degli Warren, per appoggiarsi unicamente ai meccanismi di suspence del terrore, consolidati in un cinema di genere che richiede inquadrature e tempi precisi e complessi. Al di là di alcune scelte registiche scontate(il lungo piano sequenza che presenta la casa in cui si consumeranno tutti gli atroci fatti era utilizzato anche nell’Evocazione) il regista James Wan sperimenta con la camera, creando interessanti paradossi spazio-temporali che spiazzano, disturbano e turbano lo spettatore; l’utilizzo delle ottiche non si riduce ad un impatto estetico o a virtuosismi registici, ma ha una forte valenza drammaturgica(in particolare nella scena in cui il signor Warren interroga la fanciulla posseduta). Anche la fotografia restituisce un’atmosfera inquietante e piacevole al contempo, estranea e casalinga, perfettamente aderente allo stile del film. Anche se la storia non è delle più originali(a tratti ricalca ingenuamente L’Esorcista) e la sceneggiatura è troppo prolissa e divaga rispetto al nucleo narrativo, si possono trovare delle idee davvero forti. La scena in cui il demone che infesta la casa si riappropria del telecomando per cambiare sul canale che più lo aggrada(quella è casa sua, lui è morto lì e lui comanda!) personalmente l’ho trovata davvero efficace e originale. Anche il mostro della lanterna magica, realizzato con una computer grafica grezza e stilisticamente stridente rispetto al resto del film, forse vuole strizzare l’occhio allo stile casereccio di alcuni film horror degli anni ’80, creando così un interessante livello di richiami all’interno del genere. La computer grafica però non funziona sempre, e la risoluzione della vicenda diventa talmente grottesca e artificiale, da far allontanare il fruitore dal film. Per il resto lo spettatore si porta a casa un pacchetto sostanzioso di emozioni forti, di visioni inquietanti e momenti da brivido. Tutto ciò che si chiede da un film del genere, un film di genere. La più grande nota di merito, infine, va fatta all’interprete Madison Wolf, che con il suo solo sguardo e recitazione ha saputo regalarmi un brivido lungo la schiena.

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