Sopravvissuto - The Martian regia di Ridley Scott
FantascienzaL'equipaggio della Ares 3 deve rientrare da una missione su Marte, ma l'astronauta Mark Watney rimane separato dal gruppo e dato per morto. Dovrà trovare un modo per sopravvivere sul pianeta rosso.
Alessandro Pascale (voto 7):
Ridley Scott torna ad affrontare il tema della fantascienza tre anni dopo il non riuscitissimo Prometheus (2012). L'autore dei leggendari Alien (1979) e Blade Runner (1982) propone però, a differenza di tutte le opere finora citate, non un film carico di mostri, alieni o robot futuristici, bensì una via di mezzo tra un thriller alla Apollo 13 (1995) ed un dramma intimista alla Gravity (2013), senza toccarne però le punte di tragicità. A fare da filo conduttore è la scienza astrofisica, non nelle sue possibilità futuristiche miraboliche (vedi su tutti Interstellar), bensì nelle sue possibili applicazioni pratiche attuali, qualora l'uomo si decidesse di fare finalmente i suoi primi passi sul pianeta Marte. Una fantascienza “realistica” insomma, che sembra dare più o meno volontariamente ampio spazio ad una volontà didattica insita nel soggetto, trasposizione cinematografica del libro L'uomo su Marte di Andy Weir, di fatto un moderno ripensamento del Robinson Crusoe di Daniel Defoe. A fare da ciliegina sulla torta un Matt Damon sempreverde, affiancato da un cast di seconde linee di lusso, in cui ognuno recita a dovere la propria parte, sfruttando una sceneggiatura ben strutturata e variegata. Tutto sembra perfetto per fare di The Martian un blockbuster di elevatissima qualità. Eppure, nonostante l'opera sia probabilmente una delle migliori sue opere degli ultimi anni (certamente non comparabile agli ultimi scadenti lavori), rimangono alcune perplessità di fondo su un prodotto che si muove ottimamente in molte direzioni senza però riuscire a concentrarsi su un punto in particolare. Il problema fondamentale è che The Martian manca di personalità. In parte ciò dipende da un'eccessiva lunghezza con cui si snocciola un soggetto più adatto per la lettura che per il cinema. In parte dal fatto che alcune scelte registiche appaiono in una certa misura eccessivamente forzate, se non proprio ridondanti e ripetitive sul lungo periodo. Tale ad esempio il “video-diario” lasciato a puntate dal protagonista, in cui un pur bravo Damon non riesce a colmare con la sua vivacità dei ritmi troppo dilatati e delle scenografie asfittiche (si poteva sicuramente pretendere di più in fatto di fotografia). Manca soprattutto la capacità di scegliere tra l'avventura e la riflessione filosofico-esistenziale, di cui si introducono elementi sparsi pasticciati con fughe costanti perfino nel registro comico. L'insieme tutto sommato regge ma impedisce all'opera di ambire a qualcosa di grande, come pure su un soggetto simile (un uomo isolato su un pianeta) era riuscito a fare in passato Duncan Jones in Moon (2009). Manca insomma il messaggio su cosa l'autore ci voglia comunicare, e a riguardo perfino il finale standardizzato perde di senso, mancando totalmente di stupire lo spettatore e approfondendo l'impressione di aver assistito ad un film manieristicamente notevole, ma spassionato e freddo. Interessanti infine le scelte musicali anche se compensate da un 3-D che aggiunge poco rispetto ad una visione “normale”.
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Pasquale D'Aiello (voto 8):
A distanza di tre anni da Prometheus (2012) che si proponeva come prequel del più celebre Alien (1977), Ridley Scott ritorna nello spazio per ambientare una storia che sebbene si svolga a milioni di chilometri dalla Terra riguarda profondamente la natura umana. Con la struttura dell'avventura e con un tono drammatico punteggiato da alleggerimenti, Scott si dispone a narrare viaggio cosmico in cui si scandagliano i sentimenti del coraggio, della determinazione e dell'altruismo. Ad un intreccio narrativo avvincente si sommano suggestive scenografie, fotografate con un sobrio 3D e un cast di attori efficace tra cui figura anche la coppia Matt Damon, Jessica Chastain, già impegnata in Interstellar (2014) di Christopher Nolan e con il quale condivide spunti narrativi e temi trattati. Se il film di Nolan si focalizzava sul rapporto uomo-Terra, The martian punta il suo sguardo soprattutto sull'uomo, inteso come creatura destinata a conquistare l'intero cosmo e capace di prescindere anche dal proprio pianeta natio, descrivendo una forza centrifuga che si pone idealmente in contrapposizione a quella centripeta di Blade runner (1982) che faceva convergere i replicanti sulla Terra, alla ricerca della loro vera identità. Una volta scisso il rapporto con il nostro mondo, l'uomo si ritrova da solo al centro della visione cosmica, riproponendo una nuovo modello vitruviano che diventa simbolo chiave di questa storia.
La messa in scena di Scott, seguendo i modelli del genere, è perfettamente funzionante, con qualche debito verso opere precedenti, come ad esempio Gravity (2013) di Alfonso Cuaron, e sebbene si offra con successo ad una visione di mero intrattenimento, il film offre anche interessanti spunti di riflessione. Non si tratta di elucubrazioni volte allo svelamento di nessi o all'acquisizione di nuove verità quanto piuttosto di una rivificazione di sentimenti di cui l'uomo necessita in questa fase storica caratterizzata da debolezze e incertezze. Il messaggio che lancia la sceneggiatura di Drew Goddard, rielaborata dal romanzo di Andy Weir, è una sferzata di energia che restituisce l'immagine di un uomo che possiede tutte le risorse psichiche e intellettuali per vincere le grandi sfide e i misteri che lo attendono, attraverso la rivisitazione del mito della frontiera ma con un conquistatore più vicino all'illuminista Gulliver di Swift che al rude distruttore impersonato dal John Wayne di John Ford. Ad una prima lettura emerge con forza l'esaltazione dello spirito di sopravvivenza che facendo perno sulle competenze intellettive ed uno spirito indomito, individuale e collettivo, costituiscono la definizione di un nucleo umano che promette di guidare la specie umana verso le prossime tappe, recuperando in parte anche il positivismo di Jules Verne. Ed è proprio questa saldatura tra lo spirito di sopravvivenza individuale e il meccanismo collettivo che lo implementa che costituisce uno dei passaggi più interessanti del film. Metabolizzata l'emozione dell'avventura, lo spettatore potrà provare la sensazione di aver partecipato ad una storia da cui riporta a casa un monito a non deflettere mai dal proprio spirito vitale e a non dimenticare la comune appartenenza alla razza umana che costituisce premessa e fine del proprio viaggio. Pur avendo sotto mano temi di prima grandezza Scott sceglie di non realizzare un'opera epica ma di tenere più bassi i toni, questo lo porta consapevolmente e volontariamente fuori dall'ambizione per la realizzazione di un capolavoro cinematografico ma al contempo lo sottrae dalle trappole autoreferenziali che quell'ambizione comporta, regalandoci un film con meno rischi di velleità ma con molta più onestà.
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