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8/10

Sette Spose Per Sette Fratelli regia di Stanley Donen

Commedia
recensione di Leonardo Romano

Adamo Pontipee, rude boscaiolo dell'Oregon,sposa le bella Milly, ignara di dover badare, oltre che al marito, anche ai suoi sette fratelli. La ragazza non demorde e rimette a nuovo i sette giovanotti, insegnando loro la buona educazione e dando loro un aspetto più presentabile. I sette fratelli, però, si sentono soli e, una bella sera d'inverno, su consiglio di Adamo, rapiscono sette giovani fanciulle di cui si sono innamorati. All'arrivo della primavera,sciolta la neve, i parenti delle ragazze arrivano a casa dei Pontipee,ma l'amore ha gia trionfato e le sette coppie convolano a giuste nozze. 

Questo è un esempio di musical classico, nel senso più positivo del termine: storia divertente (ancorchè frivola e leggera), canzoni memorabili, coreografie mozzafiato, una splendida fotografia, dialoghi spiritosi ed una regia vivace. E così Sette spose per sette fratelli da musical classico targato MGM si è ritrovato giustamente ad assurgere allo status di “classico” tout-court. Negli anni '50 la Metro era lo studio che sfornava i musical più apprezzati, di maggior successo e che, a ben vedere, si sono guadagnati di diritto un posto nel nostro piccolo cuoricino di cinefili.

Così accanto a prodotti realizzati con un notevolissimo dispendio di mezzi come Cantando sotto la pioggia, Un americano a Parigi, Show Boat, Brigadoon, Gigi e così via, sorge questo Sette spose per sette fratelli. I milioni di dollari dello studio convogliarono, con grande sicurezza da parte di Louis B. Mayer, in direzione Brigadoon mentre ai nostri eroi del West non rimasero che le briciole: in effetti non si può non notare un'insolita abbondanza di interni non particolarmente sfarzosi e spesso gli esterni appaiono palesemente fittizi (il che non vuol dire che siano proprio orripilanti, ma si nota decisamente che non ci troviamo per i prati dell'Oregon e che lo studio ha fatto economia).

A volte, però, il destino è beffardo: mentre il riscontro di pubblico e critica per il dispendioso Brigadoon fu tiepidino anzichennò (oltre al fatto di non esser rimasto particolarmente impresso nella memoria delle generazioni a venire), Sette spose per sette fratelli, da brava acqua cheta, toma toma cacchia cacchia, ebbe un ottimo riscontro al botteghino ed è felicemente rimasto impresso a tutta una schiera di estimatori che, col passar del tempo, non accennano a scemare (oltre ad essere uno dei pochi esempi di musical non presi a prestito da uno spettacolo di Broadway: è una creazione originale di Stephen Vincent Bennet per il soggetto e di Albert Hackett, Frances Goodrich e Dorothy Kingsley per la sceneggiatura, con il fondamentale contributo del compositore Gene de Paul e il paroliere Johnny Mercer, premiati con un meritatissimo Oscar).

Merito del suo inossidabile successo sono di sicuro le orecchiabili e divertentissime canzoni, che – caso strano nel musical classico – oscillano da un gradevole romanticismo (ben assolto dal vocione stentoreo di Howard Keel e dall'immacolata voce da soprano di coloratura di Jane Powell) ad una spiritosa presa in giro di quello stesso gradevole romanticismo (è il caso del lamento d'amore dei sette fratelli, Lonesome Polecat ossia “Puzzola malinconica”). Da segnalare comunque anche le splendide orchestrazioni di un veterano della MGM come Conrad Salinger.

In più la prestazione dei protagonisti è davvero notevole: a partire dai suddetti Howard Keel e Jane Powell (oltre ad essere superbi nel canto, sanno essere rispettivamente un rude boscaiolo dal cuore tenero e una dolce mogliettina dal carattere deciso: due personaggi perfettamente speculari) per arrivare ai sette atletici fratelli che non sono semplici ballerini,ma si posson quasi considerare il fulcro del film (le cui doti vengono esaltate dalla sbrigliata fantasia del grandissimo coreografo Michael Kidd, la cui immaginazine è esaltata da uno Stanley Donen vivace, fresco e di sicuro molto ispirato).

Merito del successo va anche alla divertente sceneggiatura che, prendendo le mosse dal ratto delle Sabine, trapianta l'episodio in salsa western (sicuramente più consono al substrato culturale degli americani rispetto agli albori della storia romana: idea furba, ma azzeccatissima), amalgamando con grande maestria romanticismo, ironia, buffonesca balordaggine (soprattutto grazie ai sette fratelli), ma anche una spiritosa e svelta allegria che fa scivolare il film piacevolmente verso il lieto fine (i sette fratelli sposano le sette belle ragazze di sicuro per amore, ma anche dietro minaccia di una pallottola nella schiena. Un piccolo tocco umoristico che stempera un po' l'aura romantica del “...e vissero tutti felici e contenti”, quasi a smitizzare i fiori d'arancio finali pieni di gioia, regola aurea dei musical di quegli anni).

Le scene memorabili del film sono parecchie,ma una su tutte si staglia imperiosa sulle altre: quella in cui i fratelli Pontipee, freschi di lezioni di buone maniere impartite da Milly, fanno il loro debutto in società alla fiera. Qui la danza travalica i suoi abituali confini cinematografici e diventa pura arte: ci troviamo di fronte ad uno dei più strabilianti ed acrobatici numeri a cui mai nessuno spettatore avesse mai pensato di poter assistere. Ogni fotogramma sprizza allegria, baldanzosa sbruffoneria, ma anche ironia, tenerezza ed una giovanile voglia di vivere (e, sotto sotto, anche testosterone. Non dimentichiamoci che i sette giovanotti rischiano ogni attimo l'osso del collo per impressionare le ragazze che stanno corteggiando. Un po' come dei pavoni in amore). E il tutto senza il benchè minimo sforzo apparente. Se dovessimo usare la scena di un film per dare una definizione della parola “strabiliante”, forse dovremmo usare proprio questa.

Senza essere eccessivamente pretenzioso come altri musical coevi (Brigadoon ne è un esempio. Oppure Un americano a Parigi, anche se in questo caso i risultati sono di gran lunga superiori rispetto al film ispirato allo spettacolo di Lerner e Loewe), Sette spose per sette fratelli, col suo piglio leggero, il suo ritmo svelto e le sue canzoni (sicuramente da segnalare sono When You're in Love, Wonderful Day e Goin' Courtin', anche se fare una scelta, in questo caso, diventa piuttosto arduo), ha conquistato le platee degli anni '50 e continua ad avere sempre nuovi adepti, anche grazie alla sua trama leggera e ben svolta, che può fregiarsi di uno humour che pochissimo concede allo sdolcinato.

Il doppiaggio italiano si attesta su un' “aurea mediocritas”, non irresistibile ma sicuramente dignitosa (che oggi sarebbe ammirata come assoluta eccellenza). Emilio Cigoli presta il suo vocione che tanto ha giovato ai grandi divi di Hollywood ad Howard Keel, con l'usuale bravura e disinvoltura; Miranda Bonansea, smessi i boccoli leziosetti e smorfiosi di Shirley Temple, doppia simpaticamente Jane Powell. Fra i sette fratelli e le sette spose possiamo sentire anche alcuni giovanotti e signorine di belle speranze destinati ad una più o meno luminosa carriera di fronte al leggio: Giuseppe Rinaldi, Renato Turi (e ci suona strano sentire Walter Matthau che fa il ballerino bellimbusto), Gianfranco Bellini, Massimo Turci e Maria Pia Di Meo.

Qualche piccola curiosità: il film fu girato anche in una versione non panoramica: lo studio pensava che lo smisurato formato panoramico del film sarebbe stato difficilmente gestibile dalle sale (ancora poco attrezzate per le pellicole in Cinemascope). Fatica sprecata: questa versione non fu mai utilizzata (ma si può vedere come extra nella prima versione del dvd uscita nel 2004). Confusi nella folla dei 14 spasimanti si trovano due celebrità (più negli Stati Uniti che da noi, ad esser sinceri): Russ Tamblyn, il futuro Riff di un altro indimenticabile musical come West Side Story e tale Julie Newmeyer che, diventata Julie Newmar, assurgerà a chiara fama per il suo ruolo di Cat woman negli psichedelici telefilm di “Batman” degli anni '60).

Se altri musical classici degli Anni '50 ebbero la fortuna di incontrare uno strepitoso successo per poi finire nel dimenticatoio per il loro alto tasso di saccarosio difficilmente tollerabile per noi spettatori smaliziati del XXI secolo, Sette spose per sette fratelli continua a divertire l'audience televisiva (ormai i vecchi film hanno solo il mercato dell'home video e i buchi di palinsesto per poter sperare di sopravvivere) proprio grazie alla sua freschezza ed alla sua ironia non comune (ed a qualche tocco malizioso: la prima notte di nozze Milly e Adamo litigano e Adamo si sistema sul ramo di un albero di fronte alla finestra della camera da letto; i due però fanno pace ed Adamo rientra in camera da letto, ma - inciampando nel davanzale - cade di schianto sul letto, distruggendolo. I sette fratelli, al piano di sotto, si guardano sorridendo ed equivocano sulla potenza sessuale del loro fratellone. Per carità, non siamo di fronte a chissà che, però, nel clima di pesante censura imposto dal Codice Hayes, l'allusione non è poi così innocua come appare al giorno d'oggi). E poi, almeno per una volta, gli eroi del West non sono dei pistoleri monocorde privi di umanità e con la faccia da mocassino (felici solo di fare il tiro al piattello con gli indiani), ma degli allegri giovanottoni canterini che ballano con un'agilità che perfino le libellule avrebbero problemi ad eguagliar!... Beh, ben venga allora un'allegra square dance piuttosto che del razzismo esibito fieramente!

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Voto degli utenti: 9/10 in media su 1 voto.

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dalvans (ha votato 8 questo film) alle 22:54 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Buono

Buon film