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10/10

Salò o le 120 giornate di Sodoma regia di Pier Paolo Pasolini

Drammatico
recensione di Gabriele Repaci

Durante la Repubblica di Salò un gruppo di giovani di entrambi i sessi, catturati tra i figli dei partigiani o partigiani essi stessi, viene sequestrato in una villa da quattro gerarchi fascisti che li usano al fine di soddisfare i propri piaceri più perversi.

Ispirato al romanzo Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade Salò di Pasolini rimane tutt’oggi, insieme a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, uno dei film più scioccanti ed incompresi della storia del cinema italiano. Presentato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975, tre settimane dopo la morte del regista, fu subito sequestrato e il produttore Alberto Grimaldi venne processato (e poi assolto) per «corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico». 

Si tratta indubbiamente di una pellicola estrema difficilmente sopportabile per gli spettatori più sensibili ai quali non vengono risparmiate scene di sodomia, tortura e coprofagia.

Ma ridurre l’ultimo lavoro di Pasolini ad una semplice esibizione di violenza il cui unico obiettivo è quello di turbare l’opinione pubblica sarebbe un grave errore. Salò è infatti molto più di un film. È un analisi sulla natura del potere nella società capitalistica. La cornice storica del fascismo è una metafora attraverso la quale il regista mette in luce la natura perversa della modernità  nella quale la sessualità è vissuta come sopraffazione ed in cui i corpi vengono degradati ad oggetti.

Illuminante è la frase pronunciata da uno dei gerarchi soprannominato «il duca» ed interpretato dall’attore Paolo Bonacelli: «Noi fascisti siamo i soli veri anarchici, naturalmente una volta che ci siamo impadroniti dello stato. Infatti la sola vera anarchia è quella del potere».

Riprendendo alcune delle tesi di Foucault, Pasolini giunge alla conclusione che il potere nella società contemporanea lungi dall’imporsi in maniera verticistica, come accadeva per esempio nel medioevo, si configura come «anarchico», o «liquido» potremmo dire con Bauman, in cui attraverso quei luoghi «eterotopici» che costellano la modernità quali le carceri, le cliniche, le scuole e le fabbriche modella i corpi e le menti al proprio volere. Attraverso ciò esso diventa più potente in quanto più invasivo ed esigente, aggravando in tal modo il peso dei vincoli imposti ai subalterni.

Anche la scatofagia è una rappresentazione del rapporto fra classi dominanti e quelle subordinate in cui attraverso il consumismo i primi fanno «mangiare la merda» ai secondi. Mediante la televisione e la pubblicità il cittadino viene trasformato in consumatore che comprando i prodotti venduti dalle aziende fa in modo che il sistema capitalistico funzioni. Se le merci prodotte non venissero comprate esso entrerebbe molto probabilmente in una crisi di sovrapproduzione.

Il sesso non è più visto come arma di seduzione ma diventa uno strumento tramite il quale il potere controlla il popolo e lo distrugge nella sua essenza più intima.

Pasolini vuole inoltre mettere in luce anche il fallimento dell’ideologia libertaria del ’68. La lotta progressista di quegli anni volta alla liberazione sessuale è stata brutalmente neutralizzata dal potere economico il quale ha deciso di concedere un’apparente quanto falsa tolleranza. L’etica della trasgressione si è trasformata in una falsa dialettica della permissività che vanifica ogni tentativo di superare lo stato di cose presenti. È quello che Marcuse aveva definito tolleranza repressiva.

Si è così realizzata la prima rivoluzione «di destra», ad un tempo stesso modernista e progressista che attraverso la società dei consumi realizza un nuovo ordine interclassista.

Inaspettatamente l’epilogo del film lascia intravedere un barlume di residua speranza rimasta anche nel deserto dell’abiezione . Il riferimento è alla scena nella quale i due giovani collaborazionisti nel mezzo dell’immane carneficina  decidono di cambiare canale alla radio che trasmette i Carmina Burana di Orff e improvvisano sulle note della canzonetta degli anni Quaranta Son tanto triste, qualche passo di valzer pronunciando il seguente dialogo: «Sai ballare?» «No.» «Dai, proviamo. Proviamo un po’ …» «Come si chiama la tua ragazza?» «Margherita». I due adolescenti sono con la testa altrove, liberi, e possono pensare alla propria ragazza, ad un altro mondo, semplice e normale, ove vivere la propria vita. Un finale che vuole testimoniare come anche dinnanzi all’orrore rimane la possibilità per l’uomo di ricominciare daccapo, di vivere la propria vita sopravvivendo alla strage e all’abominio della barbarie.

Salò è dunque un film di sfida verso la società moderna il cui obiettivo è quello di mostrare ciò che essa è veramente. Infatti dietro la maschera della tolleranza essa nasconde una realtà fatta di violenza e perversione.

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Voto degli utenti: 8,1/10 in media su 7 voti.

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Marco_Biasio (ha votato 10 questo film) alle 17:40 del 2 novembre 2013 ha scritto:

Recensione onesta ma un po' scolastica. Quando ci si approccia ad opere filosofiche così profonde e radicali come questa rilettura di Pasolini serve ben più che un resoconto... Internet, volendo, ne è pieno. Prendila come critica costruttiva. Con un solo, vero appunto formale: ho paura che la tua lettura del finale sia decisamente fuori strada...

alejo90 (ha votato 8 questo film) alle 19:32 del 2 novembre 2013 ha scritto:

questa cosa del finale mi ha spesso lasciato interdetto: in molti hanno scritto di un finale aperto alla speranza; io invece non l'ho mai considerato tale, anzi quando l'ho visto mi ha fatto rabbrividire per la sua freddezza agghiacciante.

Gabrepa1990, autore, alle 21:16 del 2 novembre 2013 ha scritto:

ma appunto esistono due tipi di lettura del finale e per una serie di ragioni mi è parso che la conclusione aperta alla speranza sia quella più vicina a quello che intendeva Pasolini

swansong alle 17:01 del 11 novembre 2013 ha scritto:

Mah...per me una colossale boiata! Sarò fra quei tanti (o pochi) italiani amanti del cinema che non lo ha capito (film incompreso? Scioccante? No, semplicemente brutto!). Inutili eccessi voyeuristici, recitazione dozzinale ed amatoriale (come del resto in quasi tutti i film di Pasolini). Visto una sola volta e ho fatto fatica ad arrivare alla fine...forse sono io che non capisco, ma secondo me il cinema italiano, quello vero, quello di caratura "universale" sta da tutt'altra parte. Molto, ma molto meglio il Pasolini poeta, saggista e, soprattutto, giornalista, anche televisivo. Questa la mia umilissima opinione. Adesso linciatemi e denigratemi pure per lesa maestà!

Marco_Biasio (ha votato 10 questo film) alle 11:56 del 16 novembre 2013 ha scritto:

No, per me nessuna lesa maestà. Anch'io preferisco il Pasolini scrittore, anzi, su tutti, il Pasolini editorialista degli Scritti corsari. C'è da fare solo un appunto: tutti questi aspetti che denoti tu (gli eccessi voyeuristici, la recitazione dozzinale e dialettale, ecc...) sono parte integrante del progetto filmico Salò. Che Pasolini sapesse allestire anche cast "altri", professionali e di tutto rispetto è ampiamente testimoniato da molta sua filmografia, Uccellacci e Uccellini, Medea e Edipo Re (soprattutto) in testa. L'unica cosa di cui Salò avrebbe veramente bisogno è un bel restauro. Così com'è ora è troppo vecchieggiante.

forever007 alle 15:22 del 21 marzo 2014 ha scritto:

A me la recensione non dispiace, trovo che sia tremendo recensire qualsiasi film di Pasolini, ovviamente perché ciascuno riprende l altro nelle tematiche, esprimendole di volta in volta in maniera più cruda e realistica. Questo è in assoluto uno dei mie preferiti assieme a Porcile, sia per il tema che agli occhi di molti sarà passato in secondo piano, a causa delle turpitudini rappresentate, sia per la perfezione tecnica ricercata dal regista. Il discorso sugli attori è davvero ridicolo a mio avviso, dipende come tutti sanno da una scelta pasoliniana di attori non professionisti per evidenziare il realismo della pellicola, ma poi ditemi voi quale attore italiano o no di "alto livello" sarebbe disposto a realizzare scene così. Insomma io non amo dire "è un film per pochi" (che implicitamente significa io sono intelligente e voi capre) ma è un film anti bigottismo. Il fatto che io stesso definisca alcune scene, crude o forti, dipende dalla visione estremamente ipocrita del sesso e della vita che le istituzioni religiose,politiche e sociali hanno diffuso da sempre. Per concludere io il finale l ho trovato straniante, e mi piacerebbe pensarla come il recensore rispetto al discorso della speranza ecc ecc, ma al contrario credo che per Pasolini la speranza non potesse concretizzarsi, poiché il Potere così proposto al massimo può offrire la mera illusione della libertà, ma di certo controlla e domina i più deboli, ammazzandoci continuamente (anzi fa si che la morte diventi l unica aspirazione possibile), come nella scena della scelta del miglior deretano. Solo gli amorali , quindi i potenti, possono avere speranza.