Salò o le 120 giornate di Sodoma regia di Pier Paolo Pasolini
DrammaticoDurante la Repubblica di Salò un gruppo di giovani di entrambi i sessi, catturati tra i figli dei partigiani o partigiani essi stessi, viene sequestrato in una villa da quattro gerarchi fascisti che li usano al fine di soddisfare i propri piaceri più perversi.
Ispirato al romanzo Le 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade Salò di Pasolini rimane tutt’oggi, insieme a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, uno dei film più scioccanti ed incompresi della storia del cinema italiano. Presentato in anteprima al Festival di Parigi il 22 novembre 1975, tre settimane dopo la morte del regista, fu subito sequestrato e il produttore Alberto Grimaldi venne processato (e poi assolto) per «corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico».
Si tratta indubbiamente di una pellicola estrema difficilmente sopportabile per gli spettatori più sensibili ai quali non vengono risparmiate scene di sodomia, tortura e coprofagia.
Ma ridurre l’ultimo lavoro di Pasolini ad una semplice esibizione di violenza il cui unico obiettivo è quello di turbare l’opinione pubblica sarebbe un grave errore. Salò è infatti molto più di un film. È un analisi sulla natura del potere nella società capitalistica. La cornice storica del fascismo è una metafora attraverso la quale il regista mette in luce la natura perversa della modernità nella quale la sessualità è vissuta come sopraffazione ed in cui i corpi vengono degradati ad oggetti.
Illuminante è la frase pronunciata da uno dei gerarchi soprannominato «il duca» ed interpretato dall’attore Paolo Bonacelli: «Noi fascisti siamo i soli veri anarchici, naturalmente una volta che ci siamo impadroniti dello stato. Infatti la sola vera anarchia è quella del potere».
Riprendendo alcune delle tesi di Foucault, Pasolini giunge alla conclusione che il potere nella società contemporanea lungi dall’imporsi in maniera verticistica, come accadeva per esempio nel medioevo, si configura come «anarchico», o «liquido» potremmo dire con Bauman, in cui attraverso quei luoghi «eterotopici» che costellano la modernità quali le carceri, le cliniche, le scuole e le fabbriche modella i corpi e le menti al proprio volere. Attraverso ciò esso diventa più potente in quanto più invasivo ed esigente, aggravando in tal modo il peso dei vincoli imposti ai subalterni.
Anche la scatofagia è una rappresentazione del rapporto fra classi dominanti e quelle subordinate in cui attraverso il consumismo i primi fanno «mangiare la merda» ai secondi. Mediante la televisione e la pubblicità il cittadino viene trasformato in consumatore che comprando i prodotti venduti dalle aziende fa in modo che il sistema capitalistico funzioni. Se le merci prodotte non venissero comprate esso entrerebbe molto probabilmente in una crisi di sovrapproduzione.
Il sesso non è più visto come arma di seduzione ma diventa uno strumento tramite il quale il potere controlla il popolo e lo distrugge nella sua essenza più intima.
Pasolini vuole inoltre mettere in luce anche il fallimento dell’ideologia libertaria del ’68. La lotta progressista di quegli anni volta alla liberazione sessuale è stata brutalmente neutralizzata dal potere economico il quale ha deciso di concedere un’apparente quanto falsa tolleranza. L’etica della trasgressione si è trasformata in una falsa dialettica della permissività che vanifica ogni tentativo di superare lo stato di cose presenti. È quello che Marcuse aveva definito tolleranza repressiva.
Si è così realizzata la prima rivoluzione «di destra», ad un tempo stesso modernista e progressista che attraverso la società dei consumi realizza un nuovo ordine interclassista.
Inaspettatamente l’epilogo del film lascia intravedere un barlume di residua speranza rimasta anche nel deserto dell’abiezione . Il riferimento è alla scena nella quale i due giovani collaborazionisti nel mezzo dell’immane carneficina decidono di cambiare canale alla radio che trasmette i Carmina Burana di Orff e improvvisano sulle note della canzonetta degli anni Quaranta Son tanto triste, qualche passo di valzer pronunciando il seguente dialogo: «Sai ballare?» «No.» «Dai, proviamo. Proviamo un po’ …» «Come si chiama la tua ragazza?» «Margherita». I due adolescenti sono con la testa altrove, liberi, e possono pensare alla propria ragazza, ad un altro mondo, semplice e normale, ove vivere la propria vita. Un finale che vuole testimoniare come anche dinnanzi all’orrore rimane la possibilità per l’uomo di ricominciare daccapo, di vivere la propria vita sopravvivendo alla strage e all’abominio della barbarie.
Salò è dunque un film di sfida verso la società moderna il cui obiettivo è quello di mostrare ciò che essa è veramente. Infatti dietro la maschera della tolleranza essa nasconde una realtà fatta di violenza e perversione.
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