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6/10

Quando un padre regia di Mark Williams

Drammatico
recensione di Leda Mariani

Dane Jensen (Gerard Butler) è lo spietato “cacciatore di teste” di un’azienda, che per anni ha lavorato 18 ore al giorno per dare alla sua famiglia il migliore tenore di vita possibile, anche a scapito della sua presenza in casa. La sua esistenza, però, cambia all’improvviso quando il figlio di 10 anni si ammala gravemente. Dopo il grande successo di Quello che so dell’amore, l’attore protagonista torna a raccontare la storia di un padre che imparerà dal figlio le vere priorità della vita.

Nulla di che.

Un film decente che farà la sua giusta vita in Tv. Intriso di buoni valori e soprattutto incentrato su una bella crisi di coscienza, cosa che di questi tempi non fa mai male, soprattutto in chiave: “vite dedicate (o sprecate) al lavoro”, il film racconta, seguendo le fasi della malattia del piccolo Ryan, il progressivo risveglio morale ed emotivo del padre, ben interpretato da Gerad Butler.

Confezionato bene, con fattura tipicamente americana, il film intrattiene, emoziona quel tanto che deve, e scorre via abbastanza indolore. Troppo poco, per essere una vicenda così drammatica, ed affrontando grandi tematiche con quel fare tutto “Usa” delle frasi ad effetto, che sembrano curare improvvisamente, come un cerotto, qualunque male. Un po’ come i proverbi della nonna, così saggi, talmente veri, ma anche così sbrigativi e maledettamente irrealistici. Le cose dette sono tutte giuste: sacrosante e condivisibili direi, ma buttate lì, come noccioline alle scimmie.

E così, tra un: <<ciascuno raccoglie quel che semina>>, ed un <<per scaldare il cuore degli uomini>>, si arriva al finale, immersi senza dubbio in grande positività, ma con quella sensazione un po’ fastidiosa di aver sentito una favoletta alla quale non si può che rispondere: <<Eh, magari le cose andassero così, nella vita!>>.

Bella l’idea di fondere le vicende con una certa percezione dell’architettura e il suo potere d’influenzare la vita delle persone. Interessante la fotografia  di  Shelly Johnson, che mantiene toni argentei e crepuscolari, concentrandosi sul valorizzare al massimo la recitazione di Butler.

Non si può dire che il film non funzioni, nel suo insieme: solo che è banale. Affronta tematiche interessanti e lo fa con un tono abbastanza anonimo e neutro, e quindi va bene per un pubblico medio, che vuole porsi degli interrogativi, ma nemmeno troppo. La regia, con in mano una sceneggiatura discreta, non ha voluto osare, ma semplicemente attenersi ai fatti, nella maniera più leggera possibile.

Debutto dunque decente, nel ruolo di regista, per Mark Williams, ma nulla di più. Un lavoro fatto più che altro per far recitare Butler e soprattutto il povero Willem Dafoe, sempre bravissimo, ma così sprecato…

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