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7/10

Poesía sin fin regia di Alejandro Jodorowsky

Biografico
recensione di Enrico Cehovin

Alejandro Jodorowsky continua a raccontare se stesso nel seguito diretto de La danza de la realidad.

A tre anni di distanza da La danza de la realidad, Alejandro Jodorowsky continua il discorso che aveva cominciato riprendendo dal punto esatto dove si era interrotto, su quella nave in partenza e quel molo pieno di ricordi ormai spenti, pieno di fantasmi, pieno di figure di cartone. Il modo di narrare rimane invariato, tra la madre che si esprime sempre cantando in rima, folle coreografate, colori sgargianti, continue apparizioni dell'attuale Jodorowsky che, oltre a svolgere il compito di narratore, dialoga col se stesso di un tempo e riflette sulle persone che hanno costellato la sua vita, guardandole da vicino, toccandole con mano, rivivendo il tutto a modo suo e immergendosi completamente nel ricordo, lucidamente traslato nella sua poetica surreale.

Jodorowsky ci racconta ancora una piccola fetta della sua infanzia (l'umiliante cacciata di due ladri dal negozio di suo padre) per poi passare alla giovinezza, cambiando attore e facendosi interpretare prima da Jeremias Herskovits, poi da Adan Jodorowsky, suo vero figlio e collaboratore fisso. Si susseguono così diversi episodi caratterizzanti del suo passaggio all'età adulta: il rapporto con la sua prima musa, la violenta tappa in un bar frequentato da omosessuali, il suo amore per la poesia e la ricerca di un ambiente adatto a farla fiorire, l'amicizia con un altro poeta, il consolare una nana maltrattata dal marito, il suo (breve) ritorno al circo, le marionette, e infine la sua partenza per Parigi, passo definitivo del distacco dalla famiglia con l'abbandono del suo Paese e il conseguente, amaro e toccante abbandono del padre che non rivedrà mai più.

Esattamente come ne "La danza de la realidad" Jodorowsky fa di necessità virtù e capovolge il limite di un basso budget a sua disposizione per mettere in scena treni moderni ricoperti da sagome di cartone che ne raffigurano di più antichi, falli giganti fatti di cartapesta, anziani in frak come lenti, stanchi e svogliati camerieri, riflettendo così sulla rappresentazione e sullo sfalsamento del ricordo nella memoria, non finalizzato all'autocompiacimento ma a un bisogno di scrivere un memoriale per se stesso e per gli altri da cui tutti possano trarre qualcosa. Molto più coinvolgente del capitolo precedente, ogni episodio fa riflettere maggiormente, vantando l'interpretazione istrionica di Adan Jodorowsky, in maggior sintonia nell'interpretare il padre di quanto lo sia stato Jeremias Herskovits ne "La danza de la realidad". Un'opera di un tardo Jodorowsky maggiormente consigliata a chi ha già dimestichezza con l'autore e un passo successivo nell'aggiungere qualche tassello a tutte le possibili interpretazioni, influenze e derive delle opere precedenti del regista, stimolandone, ancora una volta, la visione.

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al 69° Festival di Cannes.

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