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6/10

Pericle il nero regia di Stefano Mordini

Drammatico
recensione di Giulia Betti

Pericle Scalzone, detto Il nero, di lavoro "fa il culo alla gente" per conto di Don Luigi, boss camorrista emigrato in Belgio. Durante una spedizione punitiva per conto del boss, Pericle commette un grave errore. Scatta la sua condanna a morte. In una rocambolesca fuga che lo porterà fino in Francia, Pericle incontra Anastasia, che lo accoglie senza giudicarlo e gli mostra la possibilità di una nuova esistenza. Ma Pericle non può sfuggire a un passato ingombrante e pieno di interrogativi.

 

So di essere insistente, so di essere lamentosa, ma sono veramente stanca di vedere al cinema film di stallo, storie potenti e potenzialmente memorabili distrutte da mani non sufficientemente dotate. Pericle Il nero di Stefano Mordini (Provincia Meccanica, Acciaio), non è che l’ennesimo esempio di un film che funziona più sulla carta che sullo schermo, e quando dico carta non alludo al bel prodotto letterario al quale si è ispirato, ma piuttosto all’High concept del film stesso, che in poco spazio riesce a convincerti della sua buona riuscita; una certezza che ahimè dura meno del previsto…

 

Un gangster, ex attore porno che rompe l’ano alle persone per conto dei camorristi si ritrova a fuggire per salvarsi da morte certa e nella fuga si scontra con la possibilità di innamorarsi e cambiare vita per sempre” - Pericle Il nero è un personaggio sgradevole al soldo del camorrista emigrato in Belgio Don Luigi Pizza, interpretato da Gigio Morra. Non è che un mercenario sodomizzatore, pagato per punire a suon di “pesce eretto” le persone che si oppongono alla estorsione criminale del suo Boss. Lui non deve uccidere, non gli è richiesto di fare male, lui deve solo umiliare, svergognare, annientare psicologicamente. La sua arma indispensabile, oltre il fallo “drizzabile a comando” è un insulso sacchetto di plastica pieno di sabbia.

Capelli unti e neri legati in un codino, aspetto trasandato, tute e scarpe da ginnastica. Un’apparenza da adolescente problematico quella del nostro anti-eroe interpretato da un Riccardo Scamarcio né più né meno brillante del solito, ma in realtà già uomo adulto orfano da sempre, candido sotto a quello sguardo malevolo, quel broncio ostile, quell’atteggiamento gelido coltivato in un clima di passiva ed attiva soppressione, un reietto. Un ripudiato. Un rifiuto della società.

Quello di Mordini, che non è né film di gangster noir come vorrebbe apparire, vanta sostanzialmente gli stilemi classici dei più anonimo film d’autore. E' una semplice storia di emancipazione, che usa il mondo della camorra solo come espediente narrativo e non come sfondo sociale, teatro d’azione o antagonista polifonico. Gioca a carte scoperte fin da subito, mettendo a faccia in su già dai primi minuti la vera Vision del film, la chiave di interpretazione, il fine ultimo degli autori: fare in modo che il pubblico penetri la corazza lottando contro il pregiudizio, arrivando a liberare l’uomo dal corpo sgradevole in cui è stato sigillato. Che noia!

Già Abel Ferrara (Paura su Manhattan, King of New York)  aveva espresso l’intenzione di portare il romanzo omonimo di Giuseppe Ferrandino sul grande schermo con Riccardo Scamarcio nel ruolo del protagonista (perchè?!?!) ma poi la produzione passò in mano all’attore e alla compagna Valeria Golino i quali scelsero di affidare al Mordini la regia del film.

<<L’idea è venuta a Riccardo che mi ha chiesto di leggere il libro per farne un film, poi io gli ho proposto di spostare l’azione in Belgio perché  non sono di Napoli e mi è sembrato potesse funzionare collocare il nostro protagonista in un luogo estraneo, e poi fargli raggiungere un ulteriore non-luogo dove Pericle arriverà a crearsi una identità ed una famiglia>> (Stefano Mordini)

Nel libro Pericle è un uomo poco intelligente, una macchina che fa quello che gli si chiede, ma a differenza del film è grassottello e coi capelli bianchi. L’azione è divisa fra Napoli e Pescara, e la donna di cui Pericle si innamora non è una panettiera di Caleis, ma un’operaia polacca.

Ma perché proprio il Belgio? Non vogliamo essere troppo cattivi, forse è proprio per il motivo espresso dal regista, ovvero il desiderio di ingabbiare il protagonista in un ambiente non familiare, ma certo se fosse rimasto in Italia ma trasportato a Milano o a Genova, forse forse Scamarcio e Mordini non si sarebbero aggiudicati la co-produzione dei fratelli Dardenne, e senza quest’ultima, presumibilmente, neppure la presenza nella sezione Un Certain Regard del sessantesimo Festival di Cannes.

 

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