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6/10

Passione Sinistra regia di Marco Ponti

Commedia
recensione di Alice Grisa

Nina, ambientalista e attivista di sinistra, è fidanzata da anni con l'aspirante scrittore Bernardo. Venuta in possesso per eredità paterna di una bellissima villa al mare, conosce un potenziale acquirente: Giulio, uomo di destra, rampollo di una famiglia facoltosa, ed tra i due è odio-attrazione a prima vista. Nina comincia a confrontarsi con i propri ideali, perché la passione a volte è tanto travolgente da scavalcare le idee politiche...

 

Un giovane neolaureato a un colloquio di lavoro. La prima parte è andata bene (“credo che tutti i dati che ci interessavano per questo primo contatto ci siano”); a quando la seconda parte? “giovedì…le andrebbe bene giovedì? Anzi no… giovedì non posso. Allora vediamo… direi mai, mai le va bene?” “Mai va benissimo”.

Era Stefano Accorsi ed era Santa Maradona; una fucina sperimentale di un regista sorprendente uscito dalla scuola Holden, che alle porte del nuovo millennio tentava una versione 2.0 della sceneggiatura, la frammentazione nonsense che è tipica della vita, una riscrittura del genere commedia ricostruita sulle insicurezze della generazione x spaesata dopo gli anni del benessere e della solidità economica dei loro predecessori.

Dieci anni dopo (con in mezzo un trascurabile A/R e alcune sceneggiature) il regista piemontese ritorna a parlare di incertezza, ma il taglio è la contraddizione del sistema bipartitico. Lo scontro eterno tra destra e sinistra (quasi obbligatorio il riferimento a Gaber nella canzone dei titoli di testa cantata da Marco Mengoni) trova qui la sua ennesima non-soluzione. Ferie d’agosto aveva anticipato il tema in modo forse più sofisticato: il concetto dell’impossibilità di schierarsi da una o dall’altra parte della barricata, soprattutto perché il più convinto degli idealisti nasconde un “lato oscuro” (se di lato oscuro si può parlare) schiavo della piramide sociale, e in particolare del proprio tornaconto personale. Qui lo scopo sembra più che altro smascherare l’ipocrisia, ed è un po’ poco per un regista che dieci anni fa sembrava che rifondasse linguaggi creativi, mentre adesso è come se si fosse incorporato nell’istituzionalità e nei cliché del cinema italiano. Santa Maradona era opaco, sporco e quasi, per certi versi, dell’età dei sogni; Passione sinistra è un packaging sfavillante e raffinato (d’impatto la cura per la scenografia, l’uso della luce, i costumi – in particolare i tailleur modello Chanel e gli accessori di Simonetta/Eva Riccobono), ma il contenuto lascia a tratti perplessi: Nina, ambientalista e attivista di sinistra, fidanzata con un aspirante scrittore, si trova colpita da una passione improvvisa per Giulio, dichiaratamente di destra, ricco di famiglia, concentrato su barche, circoli e Men’s Health.

Un’operazione di questo tipo sembra avere la finalità di innestare un trattato sociopolitico/socioculturale sulla base classica della screwball comedy.

Per quanto riguarda il primo, la tesi che emerge è che i personaggi tutti sono dei fake, a partire dallo scrittore di sinistra che vuole andare a tutti i costi ospite da Fazio e, non appena il suo libro inizia a spopolare tra teen o casalinghe depresse, comincia una vita parallela nelle Jacuzzi dei grandi alberghi tra modelle e soubrettine. Persino Simonetta, la fidanzata di Giulio, è una finta-stupida (alcune sue battute sono ai limiti dell’assurdo, al punto da pensare che più che svampita sia autistica), perché in realtà è l’unica a cogliere le manovre non limpide dei due personaggi maschili.

Da micro a macro, la tesi sembra voler smascherare (e colpire) più la sinistra che la destra: la massa di radical chic, che girano con la kefiah ma hanno Mac, Ipad e Iphone (uno di pochi momenti veramente geniali è l’aspirante sindaco di sinistra, Andrea Lucente, che fa scorrere le dita su un menu di carta per “deformazione hi-tech”). Però nel 2013 accusare gli altri di essere falsi-di sinistra, incoerenti e hipster ormai è mainstream più che esserlo. Se in Santa Maradona Ponti creava, qui è come se cavalcasse l’onda, come se fosse costretto da certe irrinunciabili dinamiche.

Lo scioglimento finale da un punto di vista politico non è chiarissimo, ma potrebbe essere interessante (destra e sinistra sono necessari l’una all’altra e possono insieme risanare i reciproci guasti?), mentre dal punto di vista dei modi e (soprattutto!) dei tempi della commedia romantica, l’errore è quasi su tutta la linea. Nel genere “guerra tra sessi” si parte dal conflitto per arrivare allo scambio, al cambiamento, e infine all’innamoramento; qui non si riesce proprio a capire da dove arrivi l’amore tra i due protagonisti (quello che appare è più che altro un’attrazione sessuale, come ne capitano nella vita, che non ha origine e non ha nessun senso sentimentale: va bene, ma perché farla passare per il grande amore?), e Nina non è migliore di nessuno (il fidanzato scrittore la tradisce con molte donne e il fatto che lei lo tradisca con un uomo solo non la rende speciale, cosa di cui lei stessa si rende conto per prima). In più la Lodovini non convince nella parte: sembra una macchietta, recita in modo “naturalmente artefatto”, al punto da dare alla storia una sensazione di continuo dèja vu (personaggi di altri film, della vita, ma comunque non sfaccettati e complessi). Anche i mentori reciproci (il custode gay e la sorellina dai capelli fucsia) danno l’idea di minestre riscaldate, di gente già vista e conosciuta, e proprio sul grande o piccolo schermo. L’impronta di Marco Ponti si nota (alcune gag sono divertenti, altre meno), ma alla fine rimane tanta, tantissima nostalgia per quella Torino che si muoveva liquida sul sound dei Motel Connection, per Andrea e Bart di Santa Maradona, per  l’assenza di regole e meccanismi forzati, quando i personaggi erano persone e non prototipi.

 

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frabozz (ha votato 5 questo film) alle 16:41 del 9 settembre 2013 ha scritto:

Mi ha fatto sorridere l'inizio del film, quando la Lodovini si presenta dicendo "Vorrei sempre essere originalissima, con dei vestiti un po’ che sembrano del mercato un po’ cari, fatti da uno stilista di Barcellona comprati a Berlino in un negozio francese." Per il resto... Davvero deludente! Condivido ogni parola che hai scritto.

claudia mastro alle 22:35 del 15 novembre 2016 ha scritto:

secondo me a questo film manca un rullo. non c'è altra spiegazione