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7/10

Over Your Dead Body regia di Takashi Miike

Thriller
recensione di Alessandro Giovannini

Una compagnia tetrale sta per mettere in scena Yotsuya Kaidan, celebre testo 800esco su un samurai senza padrone e soprattuto senza coscienza che non esita a distruggere tutto e tutti pur di acquisire una posizione di rilievo nella società. La coppia di attori protagonisti è anche coppia nella vita, ma il loro rapporto si incrinerà con il prosieguo delle prove, finchè risulterà difficile separare la realtà dalla finzione, e i due saranno trascinati negli abissi del delirio.

E' un Miike assai ispirato quello di Over Your Dead Body, un Miike dalle parti di Audition o Agitator, asciutto nello stile ma certo non parco nella violenza, almeno quella psicologica. Nei modi di un thriller psicologico con qualche tinta di horror, il genio nipponico confeziona un altro angosciante ritratto famigliare, non più basato sulla perversione come in Visitor Q bensì sull'amoralità, sull'incapacità dell'essere umano di instaurare rapporti autentici, non minati da interessi o dettati dalla lussuria. Ambientato nel mondo dello spettacolo con delle dinamiche che lo rendono accostabile al mai abbastanza ricordato Perfect Blue di Kon Satoshi, capolavoro dell'animazione nipponica, il film è solo apparentemente banale nel suo giocare con l'oscillazione tra realtà e finzione, sogno e veglia, ragione e follia. E' vero che il concept non è tra i più originali, ma Miike riesce a renderlo intrigante pur con pochi espedienti: l'idea scenografica del palco girevole su cui gli attori provano, ed in cui ogni scena è accompagnata da musiche cupe con cori monacali che evocano visioni infernali e percussioni i cui echi sembrano provenire da oscuri recessi (l'eccezionale colonna sonora è di Koji Endo, e vale il prezzo del biglietto a meno che non disponiate di una sistema Dolby domestico) conferisce ad ogni scena una carica di ambiguità: quanto c'è dell'attore nel personaggio? Come scindere le due personalità? Come non cadere vittima del ruolo che si interpreta, specie se le proprie pulsioni sotto sotto non sono così dissimili da quelle nefaste espresse dai personaggi del dramma?

Fra presagi mortiferi, incubi ad occhi aperti ed una scena di aborto autoprocurato (a Venezia ne è stata vista una, ancor più esplicita, in Nymphomaniac Volume II Uncut) con sangue a catinelle, il thriller vira verso un finale grandguignolesco che lascerà soddisfatti gli splatter-fans. Per chi fosse un novizio del cinema di Miike questo potrebbe essere un buon biglietto di ingresso: pur non essendo particolarmente rappresentativo del suo stile (il montaggio non si concede grandi vezzi, lasciando alla fotografia il compito di creare la giusta suspence) racchiude diverse tematiche proprie del suo cinema limandone gli eccessi specie in ambito di violenza esplicita. Bene gli attori, pur senza picchi particolari.

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