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6/10

Mr. Cobbler e la Bottega Magica regia di Tom McCarthy

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Max Simkin ripara calzature nel negozio di proprietà della sua famiglia da generazioni. Max, disilluso dal tran tran quotidiano, scova per caso un cimelio che gli permette di mettersi nei panni dei suoi clienti e vedere così il mondo da una prospettiva diversa.

Mr. Cobbler e la bottega magica è una di quelle classiche commedie alla Adam Sandler che, senza infamia e senza lode, diverte moderatamente famiglie e spettatori di ogni estrazione sociale, culturale e anagrafica. Un film che sarebbe passato decisamente in secondo piano se non fosse che il regista è Thomas McCarthy, ossia nientepopodimeno che il premiato regista e sceneggiatore de Il caso Spotlight agli “Oscar 2016”. Da questo dato si spiega il ritardo con cui i produttori si sono decisi a portare sul mercato italiano anche il film in questione, opera appena precedente cronologicamente e che non era balzata all'onore delle cronache, nonostante un cast sicuramente interessante, anche se un po' stagionato, comprendente attori del calibro di Dustin Hoffman e Steve Buscemi.

Il protagonista però è Adam Sandler, bocciato ingiustamente con la candidatura per il peggior attore protagonista ai Razzie Awards 2016 per una prova certo non eccezionale (come era stata invece ad esempio in Ubriaco d'amore), ma neanche così malvagia. Il suo personaggio riecheggia una personalità tipica di un certo lavoratore medio contemporaneo: tendenzialmente annoiato, nichilista, privo di particolari spunti, timido, indifferente, moderato ed egocentrico.

Una sceneggiatura brillante (uno dei punti forti dell'opera, non a caso targata sempre McCarthy) lo trasforma in un fanciullino di pascoliana memoria che riesce a ritrovare il sorriso uscendo dalla noia della quotidianità per avventurarsi in una serie di avventure dapprima innocenti, giocose o maliziose, poi sempre più spericolate, grottesche e drammatiche. Siamo insomma nell'ambito del classico processo di formazione di un personaggio che esce da uno stato di tardo adolescenzialismo per entrare finalmente nella piena maturità, recuperando una dimensione familiare totalizzante, la possibilità di un'amore sentimentale e soprattutto l'acquisizione di un'ottica etico-sociale tesa a fare il Bene per il prossimo.

Il tutto viene raccontato facendo ricorso al magico e al “fantastico” con cui, alla maniera di un Woody Allen, non si rinuncia a giocare bonariamente su stereotipi e teorie complottiste riguardanti gli ebrei. Sullo sfondo, ma neanche troppo, McCarthy rivendica l'amore per New York e cerca di sensibilizzare sul rischio della speculazione edilizia, sull'affarismo losco delle mafie e sulla possibilità di sconfiggere entrambi i demoni attraverso l'aggregazione comunitaria e sociale, incarnata dall'attivista militante Melonie Diaz.

Il problema dell'opera è che la tanta carne al fuoco in certi momenti sembra essere gestita con difficoltà, tanto che in definitiva certi svolgimenti narrativi appaiono scontati, così come il fiabesco happy ending, che pone il film in pieno stile Disney mancando però dello smalto e della vivacità necessari per alleviare il gusto dolciastro che rimane in bocca al termine della proiezione.

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