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7/10

Lui è tornato regia di David Wnendt

Commedia
recensione di Pasquale D'Aiello

Estate. Giorni nostri. In una zona residenziale di Berlino Adolf Hitler si sveglia improvvisamente proprio nel luogo dove un tempo si trovava il suo bunker. Sono passati 70 anni dalla sua "scomparsa". La guerra è finita, il suo partito non c'è più, la sua amata Eva non è lì per consolarlo e la società tedesca è completamente diversa da come la ricordava, tanto che anche i bambini che lo notano per primi si prendono gioco di lui. Lo riconosce però un reporter che lo filma e lo trova una perfetta imitazione dell'originale. Così contro ogni probabilità Adolf Hitler inizia una nuova carriera in televisione perchè viene universalmente scambiato per un brillante comico, anche se lui è davvero chi sostiene di essere e le sue intenzioni non sono cambiate...

Cosa accadrebbe se Hitler tornasse a camminare per le strade della Germania? Magari non proprio il vero Hitler, diciamo qualcuno che gli rassomigli fisicamente e che dica le stesse cose che cose che diceva lui aggiornate all'attuale situazione politica. Se lo è chiesto nel suo romanzo di fantapolitica lo scrittore tedesco Timur Vermes, riscontrando un grande interesse di pubblico. Ispirandosi a questo libro è nata la sceneggiatura del film Lui è tornato che mescola fiction e documentario per provare a capire quale accoglienza potrebbero avere le idee del vero Hitler nei nostri giorni. L'incipit è surreale, Hitler torna in vita nei pressi del bunker della cancelleria dove il 30 aprile 1945 si suicidò e nelle cui vicinanze il corpo venne dato alle fiamme, per suo espresso ordine, affinchè non cadesse nelle mani dei sovietici. Il redivivo Hitler capisce che la televisione e il cinema sono gli strumenti attraverso cui potrà  rientrare in connessione con le masse e così accetta di essere ingaggiato come comico pur di poter esprimersi davanti ad una telecamera. E questa è la prima riscoperta del personaggio storico che sa essere duttile nella comunicazione pur di giungere al proprio scopo. Ma rispetto al testo letterario il film si arricchisce orchestrando una pluralità di strumenti narrativi che vanno dal dramma alla commedia passando per il mockumentary, non mancando anche di intrecci e suggestioni, come l'utilizzo di veri conduttori della TV tedesca o come la citazione del discorso dell'Hitler di Bruno Ganz in La Caduta - Gli ultimi giorni di Hitler (2004) di Oliver Hirshbiegel . Ma la parte più sorprendente resta il segmento documentaristico che va a verificare sul campo le reazioni della gente. La produzione del film aveva affiancato all'attore tre guardie del corpo nel timore che qualcuno potesse aggredirlo ma hanno dovuto constatare che molti lo trattavano con simpatica bonarietà  credendolo un'innocua caricatura e molti altri ancora sfruttavano quel bizzarro incontro per poter esprimere la propria vicinanza al pensiero del dittatore. Nelle parole di molti tedeschi ricorre con ossessiva frequenza il tema degli immigrati. Sono in molti a dichiarare di sentirsi invasi e ancor di più quelli che affermano di essere diventati totalmente insofferenti all'impossibilità  di esprimere il proprio dissenso in merito alle politiche migratorie e di integrazione messe in campo dai governi della SPD e della CDU. L'attore che impersona Hitler si mescola alla gente comune propagandando la propria idea di purezza della razza e sono in molti a non battere ciglio e, anzi, a dare cenni di assenso. I più spiazzati sembrano proprio i sostenitori del partito neonazista NPD che si trovano presi in contropiede nel veder propagandate le proprie idee senza quel velo di prudenza che devono utilizzare per non finire in carcere. In un crescendo di intrecci tra cinema e metacinema, tra virtuale e reale, quello che emerge con grande chiarezza è che la narrazione di un popolo tedesco ingannato da un uomo diabolico e inflessibile è una narrazione tutto sommato tranquillizzante. In realtà  tanto nel 1933 tanto oggi esistevano ed esistono delle condizioni economiche e sociali che hanno indotto e potrebbero nuovamente indurre il popolo tedesco (e non solo, forse) a ripercorrere strade abiette. La tesi degli autori del film è che nella coscienza della società  o forse dentro quella di ognuno si annidano i potenziali germi che, se opportunamente attivati, in determinate condizioni possono produrre le aberrazioni del nazismo. Ora, senza avventurarsi in analisi psicologiche e antropologiche ardite da dimostrare, resta, invece, credibile che da un punto di vista politico oggi in Germania (e per certi versi in gran parte dell'Europa) ci sono condizioni economiche e sociali che si avvicinano, seppur non ancora in modo drammatico, a quelle che nel 1933 hanno permesso l'avvento del Nazismo, attraverso libere elezioni. La disoccupazione consistente, la concorrenza tra autoctoni ed immigrati (riproposizione dello scontro proposto da Hitler tra ariani ed ebrei) per il lavoro ed il welfare, governi piuttosto deboli ed economia stagnante. In questo contesto di crisi una propaganda politica tesa a riversare le responsabilità  integralmente sugli stranieri e magari su una specifica compagine religiosa, come l'Islam, potrebbe trovare crescenti consensi. Le leggi tese ad impedire la formazione del partito nazista e l'atteggiamento politically correct non sono un argine sufficiente contro il rischio di politiche demagogiche. Siano esse razziste, religiose o di qualunque altra natura. E l'ultima frase pronunciata dopo i primi titoli di coda dall'Hitler-revenant è  inquietante: "la situazione è eccellente". Per lui, s'intende.

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