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8/10

Lucy regia di Luc Besson

Fantascienza
recensione di Alessandro Pascale

Lucy ha 24 anni, studia a Taipei, e non sa cosa fare di se stessa. Un giorno il suo ragazzo la obbliga a consegnare una valigetta in sua vece. Al momento della consegna il ragazzo viene ucciso e Lucy viene rapita da un gruppo di malavitosi. Obbligata a lavorare come corriere della droga, viene operata chirugicamente e nel suo stomaco viene inserita una sacca contenente la droga. A seguito di un violento pestaggio a cui viene sottoposta da uno dei gangster, il pacchetto che trasporta si lacera, e il contenuto si riversa all'interno del suo corpo. Le sostanze vengono assorbite dal suo organismo, e Lucy acquista straordinarie capacità fisiche e mentali, aumentando a dismisura la capacità di sfruttamento del proprio cervello. Dovrà lottare contro il tempo e contro la mafia cinese per riuscire a trasmettere le sue immense conoscenze al prof. Samuel Norman, al quale decide di fare dono della propria esperienza.

Luc Besson torna al genere fantascientifico che lo rese famoso al mondo con l'esordio Le Dernier Combat (1983) e soprattutto con il successo di Il Quinto Elemento (1997). Per farlo trasforma la sublime Scarlett Johansson in un'evoluzione dell'essere umano capace di passare dalla condizione di studentessa svampita e indifesa in una micidiale e fredda macchina razionale (inevitabile non ricordare un po' Nikita...) dotata di poteri tali da far invidia all'intera gamma di personaggi della Marvel.

Ma andiamo con ordine: Lucy non è soltanto un film di fantascienza in cui Besson prova ad immaginare l'oltreuomo (l'ubermensch, per dirla alla Nietzsche), ma anche un'ottima opera d'azione spettacolare che rimane in linea con lo stile del regista, da alcuni anni pure produttore di tutta una gamma di prodotti più o meno buoni nel genere (tra cui ad esempio le serie Taxxi e The Transporter). La regia sembra ringiovanita, dinamicizzata in ritmi freschi e carichi di suspence in cui l'incognita e l'imprevedibilità si fanno largo grazie ad un soggetto senza dubbio innovativo e realizzato in ogni dettaglio (sceneggiatura compresa) dallo stesso Besson. La frequente alternanza di fiction e spezzoni documentaristici ed immagini della natura umana e planetaria è definita in maniera certosina ed aggiunge un tocco artistico non così usuale per l'autore francese, che sembra in questo ispirarsi all'opera Malick-iana di Tree of Life, in cui la trama si fonde in una riflessione spirituale e quasi metafisica.

Sprazzi di pulp (rimandi a Kitano, specie nella parte iniziale) e di drug-movies (inevitabile il parallelo a Limitless, opera di Neil Burger in cui una droga misteriosa ampliava le capacità cerebrali del protagonista) vengono messi al servizio di una domanda ammaliante: cosa succederebbe se l'essere umano riuscisse ad utilizzare più del limitato 10% di cervello che usa attualmente?

La risposta è molto più interessante ed articolata di quanto non possa apparire allo spettatore comune, che verosimilmente prenderà in caciara la seconda parte dell'opera, definendola un'esagerazione carica di effetti speciali e situazioni esagerate o improponibili, quasi manco fossimo alle prese con il Jim Carrey di Una settimana da Dio. In realtà Besson riesce a introdurre diversi temi di elevata filosofia nel corso dello svolgimento: in che termini l'essere umano è vincolato nella propria natura dalle proprie capacità cerebrali? La nostra personalità, fatta di istinti, paure, sentimenti, rischia di modificarsi, o peggio svanire, di fronte ad un'eccessiva razionalizzazione e presa di autocoscienza della nostra struttura corporea? L'umanità è capace di immaginare la possibilità di evolvere ad un livello successivo della propria specie stante le attuali condizioni socio-economiche (è il problema che si pone Morgan Freeman, nel solito ruolo di “saggio” che gli compete, ossia qui nei panni del Prof. Samuel Norman)? Oppure, come afferma l'ormai evoluta Lucy (un'impeccabile Scarlett Johansson) l'ignoranza genera sempre arretratezza mentre la conoscenza non può che migliorare le sorti dell'umanità, indifferentemente dal “chi” e dal “come” gestisca questa conoscenza? E soprattutto: cosa succederebbe qualora un essere umano dovesse realmente sviluppare in maniera completa tutte le proprie facoltà cerebrali?

La risposta che dà Besson (e qui invitiamo il lettore che non abbia ancora visto il film a distogliere lo sguardo per non scoprire in anticipo il finale) è la stessa che dà Aristotele nel decimo libro dell'Etica Nicomachea. Può sembrare incredibile sì... ma Lucy è davvero un film perfetto da far vedere agli studenti per far capire l'ontologia metafisica di Aristotele. Il grande filosofo greco considerava infatti che ogni aspetto della realtà fosse un composto indissolubile di forma e materia, con la prima a dare un “senso” alla seconda, e quindi in priorità ontologica rispetto ad essa. L'essere umano come tale, è fatto di un corpo e di un'anima. Semplificando Aristotele ritiene che l'anima sia la “forma” che modella la materia (il corpo), rendendo l'essere umano quello che è: un animale razionale. Cosa dice quindi Aristotele nel decimo libro dell'Etica Nicomachea? Che l'essere umano può trovare la felicità soltanto nel pieno e totale sviluppo della propria attività razionale. Ma fare questo, aggiunge, non gli sarà mai del tutto possibile, perché per sviluppare in pieno l'aspetto razionale occorrerebbe riuscire a diventare pura forma, liberandosi di ogni aspetto di materialità. E una cosa del genere, dice Aristotele, è possibile solo per quello che comunemente chiamiamo Dio. Qualcosa di simile lo diceva 2000 anni dopo anche il filosofo tedesco Fichte, che immaginava l'essere umano come un Dio (semplifichiamo anche qui per farla breve) che un giorno decise di creare la realtà materiale circostante per poter agire nel mondo ed avere quindi una condizione di libertà in cui attuare lo scopo di ricercare la propria natura spirituale. Anche Fichte riteneva però impossibile che ciò potesse avvenire. Trovandosi in una condizione di lotta perpetua contro la realtà materiale del mondo, l'essere umano può cercare di migliorarsi infinitamente, ma senza riuscire mai a ricongiungersi con l'Assoluto, ossia con il “sé stesso” non ancora creatore della stessa realtà.

Gira la testa? Non importa. Chi mastica filosofia si godrà al meglio questo film e godrà fino in fondo del finale. Per tutti gli altri rimarrà una notevole opera d'intrattenimento, ed i più fortunati d'intelletto riusciranno perfino a soffermarsi sul paradosso di come nel giro di una decina d'anni si sia passati dalla demonizzazione completa della droga (si pensi anche solo al dramma di Requiem for a Dream) ad una sua “positivizzazione” talmente avanzata da renderla non soltanto più simpatica al grande pubblico (ricordiamo lo stesso Limitless, mezza filmografia di Seth Rogen, ma anche Breaking Bad, perché no?) ma anche capace di trasformare un essere umano in un Dio, come accade infine alla bella Lucy. Notevole Besson. Davvero notevole. Questo paradosso però ti pregiudicherà probabilmente la possibilità di far utilizzare il tuo film nelle scuole a scopo didattico-pedagogico.

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