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7/10

La spia regia di Anton Corbijn

Thriller
recensione di Fabio Secchi Frau

Guenther Bachmann è un agente segreto tedesco di stanza ad Amburgo che, dopo gli attentati dell'11 settembre, allertato dallo spionaggio americano, si deve occupare dell'arrivo del figlio di un criminale di guerra che, però, è protetto da una giovane avvocatessa. Pressioni, frustrazioni e sospetti non gli renderanno il lavoro difficile.

   Nel 2001, all’indomani degli attentati dell’11 settembre, si scatena nel mondo un insidioso stato di allerta a livello spionistico che accompagna come un’ombra ogni città coinvolta, anche in maniera latente, con il crollo delle Torri Gemelle.

  Le Carré (un maestro della spy story letteraria) sfrutta questo clima da nuova guerra fredda per descrivere come i servizi segreti tedeschi, coadiuvati da quelli americani, moltiplicarono i loro organici, studiarono nuovi congegni e tecniche sempre più raffinate e ingaggiarono nuove personalità per estendere le loro reti di controllo in maniera sempre più capillare. Il regista Anton Corbijn (più attivo nei videoclip che al cinema e reduce da un disastroso The American) riesce a trasferire in maniera abbastanza fedele queste atmosfere, occultando giudizi sommari e traendo, da ipotesi di sospetto, un certo tipo di tensione che, però, non è sufficiente a essere trasferita nello spettatore.

  La sensazione è quella di trovarsi di fronte a una pellicola che, malgrado le eccellenti performances del cast (e lo sono davvero, ma ne parlerò qualche riga più avanti) ha messo il silenziatore. Eppure, racchiude in molte delle sue dimensioni (luci, scenografia, regia, montaggio) una straordinaria ricchezza espressiva, una vera miniera che potrebbe consentire a chi guarda di osservare l’azione quotidiana dei protagonisti, questi agenti segreti che sono ormai più legati a una scrivania che all’inseguimento e alla cattura di spie. Si parla tanto di doppiogiochisti, di processi, di esecuzioni ma, non si definisce totalmente quello che la sceneggiatura dovrebbe comunicare.

  È come se una qualche forza invisibile premesse sul nervosismo, sull’ansia, sull’apprensione e sull’inquietudine dei personaggi e della trama senza un reale motivo narrativo.

  Per spiegarlo, si potrebbe forse aprire uno squarcio sull’analisi della recitazione di Philip Seymour Hoffman. Senza nulla togliere alla grandezza di questo Premio Oscar (lo ricevette per Truman Capote - A sangue freddo), si ha sempre la sensazione che i film in cui Hoffman ha un ruolo da protagonista siano attutiti, ovattatati e subiscano un’azione di smorzamento causata dalla sua recitazione misurata e fin troppo controllata. È un processo del tutto naturale, se si tiene conto che quando Hoffman entra in scena, la assoggetta automaticamente a un cambiamento di atmosfera. Questo però non avviene mai quando Hoffman si trova a dividere il set con artisti che, invece, sfruttano al massimo le loro possibilità espressive e fanno della totale perdita di controllo interpretativa il loro punto di forza, entrando così in uno stato di grazia drammatico ed equilibrando il film con picchi di puro pathos. Succede nel fulgido Il dubbio con l’accoppiata Hoffman-Meryl Streep e in The Master con il duo Hoffman-Joaquin Phoenix (che a proposito dovrebbe essere quanto prima munito di Oscar per l’estremo trasformismo e versatilità!). Purtroppo, La spia non appartiene a questa categoria e rimane, invece, uno dei tanti film in cui questo interprete crea, suo malgrado, una propensione alla continenza.

  C’è comunque da lodare la giovane e avvenente Rachel McAdams per la buona interpretazione della (forse) unica avvocatessa umana della Storia (li credevamo tutti squali… e invece!), una versione mora di Robin Wright, misteriosa quanto basta per affascinarci, e la professionalità di Nina Hoss. Per quanto riguarda gli interpreti maschili, Willem Dafoe continua a fare paura al prossimo (e non è una novità), mentre si scopre il talento di Grigoriy Dobrygin nel ruolo-chiave di Issa.

  Il resto del film è l’affiancamento delle vicende personali, avvincenti e spesso terribili che si affiancano alla storia dei criminali di guerra e di personalità impegnati in un gioco complicato di infiltrazioni, provocazioni e tradimenti, una guerra dentro una non-guerra, che culmina con il rovesciamento amaro di ogni speranza. Doveroso affermare che Corbijn ci ha fatto dimenticare il suo film precedente (lo ricordo ancora una volta, era il pessimo The American) riuscendo a fornirci un dettagliato serraglio di immagini informative riguardante il mondo dello spionaggio, le sue strutture, i dirigenti e gli agenti segreti. La spia è, quindi e tutto sommato, un buon inserto illustrato che riproduce convincentemente una storia che non esiste, i suoi protagonisti e i loro ferri del mestiere, strizzando l’occhio alle ansiolitiche e fumose atmosfere di La talpa.

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alexmn 7/10

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tramblogy alle 23:29 del 23 novembre 2014 ha scritto:

manca, secondo me, l 'intimità , fuori dal racconto ,di tutti i protagonisti (a parte un accenno di dafoe con la moglie)...manca il gatto di schrödinger. (secondo me corbin si intravede su un canale alla televisione...)...carino, ma molto anni 80.