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7/10

Jade regia di William Friedkin

Thriller
recensione di Carlo Danieli

Un ricco collezionista d’arte, tale Melford, viene ritrovato in un bagno di sangue nella sua casa a San Francisco. Nessun movente, pochi indizi. Almeno apparentemente. Del caso si occupa il vice procuratore David Corelli, il quale capisce subito, a causa di alcune foto rinvenute nella casa del defunto, che si tratta di una faccenda scottante, che vede coinvolte le alte sfere della politica.

William Friedkin con Jade firma un noir a forti tinte oscure, basato principalmente sul trinomio sesso, soldi e potere. Il classico intreccio di passioni, scandali, omicidi, intrighi e tradimenti in cui è avvolta la trama delineano in modo chiaro una visione piuttosto cupa del mondo e del genere umano, cancellando qualsiasi timido ottimismo finale. L’inizio del film è incalzante e spettacolare, con la steadycam che penetra senza indugi in una villa lussuosa, dove si sta consumando un terribile assassinio, che però non viene mostrato. L’immagine piuttosto si sofferma su una maschera, che sembra essere la copia della celebre maschera di Agamennone, incanalando il prologo sui binari di un forte simbolismo. La maschera e ciò che rappresenta infatti suggerisce fin da subito l’idea di una storia in cui nessuno è realmente ciò che appare. Tutto è menzogna, verità apparente, e ogni personaggio ha una doppia vita che tiene o cerca di tenere nascosta. I personaggi di Friedkin, come di consueto, non si inquadrano in una visione manichea del mondo secondo cui o sei buono o sei cattivo. Essi sono, al contrario, entità che amano muoversi come un elastico sul sottile confine tra bene e male, dominati da istinti e passioni che ne determinano le azioni. In Jade addirittura questa spinta umana verso la stato di natura sembra essere piuttosto accentuata. Abbracciando una visione piuttosto negativa, Friedkin delinea personaggi dominati dall’istinto, impegnati in relazioni che si riconducono sempre e comunque al soddisfacimento della loro intima e aberrante natura, nascosta dalla rispettabilità dei ruoli sociali (altro rimando alla maschera iniziale). Simbolo più evidente di tutto ciò è la protagonista femminile, Trina, imprigionata in una doppia vita che non fa altro che renderla infelice. E sembra proprio l’infelicità la condanna morale per tutti i personaggi del film. È così che il regista chiude la pellicola, privando i suoi protagonisti della possibilità di salvezza e denunciando l’impossibilità per ognuno di essere felice. Per il resto il film è diretto con la solita maestria che è doveroso riconoscere a Friedkin, il cui marchio di fabbrica viene impresso con la sua autocitazione preferita: l’inseguimento in macchina o a piedi. Nel caso in questione il regista filma un elaborato e entusiasmante inseguimento in auto nel bel mezzo del capodanno cinese che si sta svolgendo per le strade di Chinatown, con le auto che tra la folla rallentano, urtano i passanti, si fermano e riprendono, in un gioco di “gatto e topo” davvero ben congegnato. Anche il cast è ben amalgamato: David Caruso e Chazz Palminteri sono i protagonisti maschili, ben in parte ed efficaci; Linda Fiorentino è la splendida, inquietante dark lady, per un ruolo che le si addice perfettamente. Richiamato dai più il paragone con Basic Instinct, con cui Jade condivide tra l’altro lo stesso sceneggiatore, Joe Eszterhas, a chi scrive invece sembra più evidente l’analogia con un film di qualche anno successivo. Siamo dalle parti di Kubrick e precisamente di Eyes Wide Shut (1999) che sembra riprendere molte delle tematiche già trattate da Friedkin. Bellissime la musiche firmate da James Horner.

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