R Recensione

7/10

Io e Lei regia di Maria Sole Tognazzi

Commedia
recensione di Giulia Betti

Federica e Marina vivono insieme da diversi anni. Vengono da percorsi diversi, hanno caratteri e modi di vita differenti, discutono e si amano discutendo come tutte le coppie del mondo. La loro storia d'amore è a un punto di svolta. Proprio quando Marina pensa che ormai si possano considerare una coppia stabile, Federica mossa da una serie di accadimenti entra in crisi. E comincia a porsi delle domande. Con chi vorrebbe dividere la propria vita? Chi è che ama veramente? E lei davvero, chi è? Una commedia d'amore vera, passionale, quotidiana e molto combattuta, come una piccola battaglia in cui vince solo chi sa lottare per la felicità. A patto di capire dove sia...

Non introdurrò la mia recensione ad Io e Lei di Maria Sole Tognazzi, definendo questo suo ultimo lungometraggio come un’opera cinematografica a tematica omosessuale, poiché ne converrete con me, se l’obbiettivo della regista è quello di combattere omofobia, discriminazione e pregiudizi, definire l’omosessualità come la tematica del film preluderebbe ad un totale fallimento della cineasta.

Quando siamo spettatori di una pellicola romantica, non stiamo a sottolineare la sua tematica eterosessuale, sarebbe ridicolo poiché naturalmente scontato, quindi ci impegnamo a rintracciare nell’opera quelle tematiche che giustificano l’esistenza dell’opera stessa, quei messaggi che determinano la sua importanza e quelle scelte stilistiche ed estetiche che permettono a noi spettatori di definirla bella, buona, sufficiente, brutta, disgustosa od orrenda.

Partendo quindi da questo presupposto decidiamo di individuare i punti focali della vicenda e gli obbiettivi del film in questione.

Sicuramente a mandare avanti la narrazione è un conflitto: la divergenza di carattere, opinione ed atteggiamento delle due parti della coppia protagonista della pellicola.

Lei, Federica/Buy riservata e gelosa della propria intimità e l’altra Marina/Ferilli sfacciata, aperta e più estroversa.

Questa discrepanza porta a galla il fantasma del loro amore, ossia la disinvolta messa in mostra della propria omosessualità da parte di Marina e la totale omissione di quella stessa tendenza da parte di Federica, che infatti non fa parola con colleghi ed amici della sua relazione lesbica, rendendo impossibile alla compagna il sentirsi realmente una partner desiderata ed apprezzata.

In questo caso l’omosessualità non è il “determinante”, può essere infatti sostituita con altre essenze identitarie soggette a pregiudizi (come la razza, lo stato sociale, l’appartenenza ad una dottrina religiosa o ad un partito politico, l’età o il mestiere praticato) per originare quello stesso genere di collisione in un rapporto amoroso.

A farsi largo durante il proseguire degli eventi sono appunto una serie di tipiche problematiche di coppia, molto ben gestite, realistiche nella loro messa in scena ed equilibrate in modo tale da non sbilanciare il film verso una tinta drammatica, ma mantenendo costantemente saporito quel gusto agrodolce caratteristico delle pellicole della Tognazzi. Pensiamo in questo senso all’opera d’esordio Passato prossimo (2003) e all’ultimo fortunatissimo Viaggio sola (2013).

Tra queste spine appuntite nel fianco dell’amore sereno ci sono le opportunità accolte o respinte su approvazione dell’altro, i rimpianti che tornati a galla nei momenti sbagliati si trasformano in rinfacciamenti, l’invadenza dei familiari, le debolezze carnali e naturalmente le gelosie al tempo degli smartphone.

Presto ci si accorge che la storia raccontataci dalla Tognazzi non brilla certo di originalità, ma è proprio questo suo rimanere dentro i margini senza strafare che la rende assolutamente realistica e terreno favorevole per ogni atteggiamento empatico da parte del pubblico.

Finalmente poi, mi viene da aggiungere, non ci viene raccontata una storia gay con i soliti filtri morbosi e pesanti della pena, del rimprovero o della ghettizzazione imposta o volontaria.

Le due protagoniste non ci vengono proposte nelle vesti di vittime di una sciagurata sorte, di una squilibrata natura, o di un atteggiamento umano aggressivo e razzista.

Segno certamente questo di un pensiero sociale che si fa più moderno e determina lo sviluppo di uno spirito critico che, ammorbidendosi là dove prima presentava spigoli inaccettabili ed ingiustificati, favorisce una sana e dilagante predisposizione all’accettazione del diverso.

Questo “pudico, gentile ma lontanissimo omaggio” a Il Vizietto di Edouard Molinaro, come lo definisce la regista, può quindi considerarsi un ottimo esempio di boicottaggio al pregiudizio.

 

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