V Video

R Recensione

7/10

Gifted - Il Dono del Talento regia di Marc Webb

Drammatico
recensione di Valeria Verbaro

Frank Adler vive in Florida con la nipotina Mary, figlia della sorella; una bambina estremamente intelligente, con un particolare talento per la matematica. Frank, rispettando le ultime volontà della sorella, tenta di far condurre a Mary una vita normale, ma una volta iniziata la scuola, le sue doti non sfuggono all'attenzione degli insegnanti e soprattutto della nonna Evelyn, una ricca donna di Boston, fermamente determinata ad allontanare la bambina dallo zio per poterle anche garantire la migliore istruzione possibile.

Il rischio sempre in agguato in un dramma familiare è l'eccesso di sentimentalismo, quella insostenibile saturazione di lacrime, sfortune e stereotipi prevedibili dalla prima all'ultima scena. Quando un film riesce a ovviare, almeno in parte, a tutto questo è perciò necessario sottolinearlo e celebrarne le scelte tecniche e stilistiche.

Gifted - Il dono del talento infatti si inserisce in un filone di narrazioni facilmente trascurabili e dimenticabili, eppure riesce immediatamente a differenziarsi, a partire dal punto di vista, evidentemente maschile, del tema principale: la genitorialità, seppur non biologica, raccontata appunto da due uomini, il regista Marc Webb e lo sceneggiatore Tom Flynn.

La complicità, la tenerezza e la fiducia tra la piccola Mary (Mckenna Grace) e lo zio Frank (Chris Evans) mettono in scena un amore profondo e puro, inaspettatamente maturo; una relazione padre-figlia ideale, fatta di azioni, di piccoli ma significativi gesti d'affetto più che di espressioni marcatamente emotive. È un'utopica amicizia alla pari, basata sul rispetto reciproco, sulla sincerità, sull'ironia e in cui l'infanzia è inevitabilmente trasfigurata  per adattarsi al personaggio peculiare di Mary. La bambina, infatti, è contemporaneamente sia l'elemento di rottura sia l'anello di congiunzione fra gli universi in conflitto nel film: il genio e la normalità, il mondo adulto e quello infantile, la figura genitoriale e quella filiale e persino il mondo maschile e quello femminile - considerando Mary anche come una figura frapposta tra Frank e l'ampia ma poco approfondita varietà di personaggi femminili adulti da cui è circondato. Insieme a Roberta, piccolo ma intenso ruolo del premio Oscar Octavia Spencer, Mary è anche l'unico personaggio totalmente aperto; non nasconde mai ciò che prova o ciò che pensa ed è sempre in grado di comunicarlo con tale lucidità da investire inevitabilmente lo spettatore. Al contrario, molto più complessi risultano Frank ed Evelyn (Lindsay Duncan), la nonna. Sono anch'essi personaggi a tutto tondo, ma di gran lunga più enigmatici. Molto simili, madre e figlio, trincerati entrambi dietro solide e personali ragioni, oltre che diversi stili di vita; chiusi e feriti, sono personaggi articolati ma mai totalmente accessibili allo spettatore, al quale tuttavia è comunque richiesto, almeno inizialmente, di schierarsi con il punto di vista di uno o dell'altra.

La contrapposizione tra i due è costruita in modo da imporre l'empasse, uno stallo etico e narrativo che può essere risolto solo tramite una terza via che svela, in questo caso, un abile lavoro di scrittura e un finale non del tutto prevedibile, anche se incapace di riabilitare una sceneggiatura che nel complesso risulta a tratti imperfetta, sporcata da vuoti ed errori, come la discutibile e inutile relazione tra Frank e la maestra di Mary, Bonnie (Jenny Slate). Ciò che invece funziona perfettamente e rende il film degno di attenzione è l'accurata costruzione dei dialoghi. C'è ritmo, arguzia e intelligenza nei "botta e risposta" e spesso i turni di parola e il tempo di battuta sono sfruttati con precisione per creare la giusta dose di umorismo e ironia, utile a strappare ben più di una risata in sala e ad alleggerire così l'inevitabile timore della separazione di Frank e Mary, quest'adorabile coppia la cui intrinseca bellezza è accentuata ulteriormente dalla regia di Marc Webb.

Come nel suo più celebre lavoro, (500) Giorni Insieme (2009), Webb fa sfoggio, infatti, di intensi primi piani e numerosi dettagli; si focalizza sugli sguardi, sulle mani, sui movimenti dei corpi in uno spazio costantemente a misura d'uomo. La sua macchina da presa non esplora alcun paesaggio né si perde in eccessive digressioni estetiche; rimane sempre accanto ai protagonisti pur non diventando mai invadente. Il risultato è una regia lineare e plastica, particolarmente coinvolgente perché molto fisica - anche nell'uso ricorrente della macchina a mano - e di conseguenza un film che nella sua semplicità priva di cinismo, è in grado di offrire allo spettatore una piacevole e, perché no, dolce evasione.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo film. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.