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8/10

Collateral regia di Michael Mann

Thriller
recensione di Carlo Danieli

Vincet e Max, un killer e un tassista. Le loro vite si incroceranno in una notte di Los Angeles appartenemente come tante altre, ma destinata a cambiare per sempre le sorti della loro esistenza.

Raccontato in tempo reale (il film si svolge in poche ore tra la sera ed il mattino seguente) Collateral è un thriller atipico dalle atmosfere rarefatte, magistralmente diretto da quel Michael Mann che qualche anno prima aveva incantato le platee con un altro magnifico thriller, Heat – La sfida. In effetti, con quest’ultimo, Collateral condivide diversi aspetti, primo fra tutti l’attenta analisi psicologica dei personaggi, che si traduce in una serie di dialoghi che rimangono impressi nella memoria. Inoltre tema centrale di entrambi i film è la sfida che si viene a creare fra i due protagonisti, dei quali solo uno ne uscirà vincitore. Ma le similitudini finiscono qua: Mann, infatti, nonostante mantenga la location in quel di Los Angeles, si affida ad una storia “notturna”, immortalata dalla bellissima fotografia di Dion Beebe (già visto all’opera qualche anno prima con il sorprendente Chicago e vincitore dell’Oscar nel 2006, con Memorie di una geisha). Una storia, nonostante una trama condita da i più classici ingredienti tipici del thriller, intrisa di forte malinconia. Il film di Mann dà infatti una profonda idea di solitudine, accentuata da dialoghi introspettivi e pessimistici, dove emerge un’umanità smarrita e fortemente individualista. Fondamentale per la creazione di un’atmosfera intimista e personale è lo sfondo della vicenda, ovvero una Los Angeles notturna illuminata da una luce tenue e vaga, una città popolata da persone sole, che oltre a viaggiare per le vie della metropoli, viaggiano dentro di sé, scovando e portando a galla sogni, emozioni e ricordi. Un viaggio in cui due identità, il killer e il tassista, arrivano a mescolare le proprie vite, contagiandosi inconsciamente. Nessuno infatti è stabilizzato nel rispettivo ruolo. Max, ovvero il buono, quando deve salvarsi la pelle sa fare il cattivo e sa tirare fuori una ferocia sempre rimasta latente e perciò inaspettata, così come Vincent, il cattivo, mostra a tratti lievi esitazioni, frutto di una ferocia che a volte sembra incepparsi. Le drammatiche circostanze che portano ad incrociare le vite di Vincent e Max finiranno appunto per contaminarli: non esiste più buono o cattivo, la divisione che inizialmente caratterizza il film nel finale tende a sfumare. Esistono solamente uomini soli, intrappolati in un’esistenza che fa fatica a riscattarsi. “Ehi Max, un uomo sale sulla metropolitana qui a Los Angeles e muore. Pensi che se ne accorgerà qualcuno?” Quest’ultima frase pronunciata da Vincent, riassume il senso dell’intera storia: la mancanza di significato dell’esistenza umana.  Il film si chiude in un finale solo apparentemente buonista: Max ne esce vincitore solamente morale, ma si avvia senza trionfalismi e senza squilli di trombe alla probabile vita di sempre. Oltre alla superba interpretazione di Jamie Foxx (per la quale ha ottenuto una nomination all'Oscar come attore non protagonista), una speciale menzione spetta senza ombra di minimo dubbio al sorprendente Tom Cruise, irriconoscibile negli inediti panni del cattivo. Cruise si fa carico di un personaggio difficile e inquieto, che maschera dietro uno sfrontato cinismo, le sofferenze e l’insignificanza di una vita intrisa di solitudine. Il suo è un personaggio affascinante, colto, di classe ammaliante, freddo ed intransigente nel perseguire il proprio scopo. Sicuramente uno dei ruoli migliori della carriera di Cruise: dispiace solamente che non sia stato apprezzato a dovere, per quanto i premi, nel mondo del cinema, lascino il tempo che trovano.  Lo stesso si potrebbe dire per Michael Mann, incredibilmente snobbato nonostante un lavoro registico straordinario e interprete magnifico degli stati d'animo di una Los Angeles inquieta, triste e spietata.

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