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9/10

Brutti e Cattivi regia di Cosimo Gomez

Commedia
recensione di Valeria Verbaro

Nella periferia di Roma il Papero, Ballerina, il Merda e Plissé - rispettivamente un uomo senza gambe, una donna senza braccia, un tossicodipendente e un nano - si improvvisano rapinatori per il colpo che cambierà la loro vita. L'improbabile banda riesce a mettere a segno l'impresa, ma la situazione si complica al momento di dividere il bottino. In un vorticoso susseguirsi di tradimenti incrociati, inseguimenti ed esecuzioni cruente, sembrerà quindi non esserci alcun lieto fine per i protagonisti.

Con Brutti e cattivi continua ad avanzare quel filone del cinema italiano inaugurato nel 2015 da Gabriele Mainetti e il suo Lo chiamavano Jeeg Robot: un cinema che non ha paura di rischiare e di sfidare le abitudini del pubblico e che finisce, comunque, per conquistarlo. Complice anche la giusta carica di ambizione e sperimentazione - necessaria a ogni opera prima per riuscire a inserirsi nel panorama contemporaneo - il debutto alla regia dello scenografo Cosimo Gomez ha tutte le carte in regola per il successo.

Questa commedia nera e grottesca, irriverente e politicamente scorretta, anzi scorrettissima, coniuga perfettamente l'estetica kitsch e lo splatter dei B-movie, schiacciando contemporaneamente l'occhio a capolavori della storia del cinema come Freaks (Tod Browning, 1932) e The Elephant Man (David Lynch, 1980), a cui è impossibile non fare riferimento, nonostante una sostanziale e palese differenza rispetto al film di Gomez. Brutti e cattivi, infatti, non suscita alcuna compassione nei confronti dei suoi deformi protagonisti; il suo scopo è quello di mostrare dei personaggi che hanno il "diritto" e soprattutto la dignità per poter essere considerati anche oltraggiosi, cinici, sgradevoli e malvagi, al di là dell'aspetto fisico. Si tratta, ovviamente, di un ribaltamento ironico, ma altrettanto valido, del principio dell'uguaglianza: i protagonisti sono semplicemente esseri umani e non necessitano né di aiuto né di pietà, o almeno non più di qualsiasi altra persona. È anche per mantenere questo senso allegorico che Gomez sceglie degli attori normodotati per alcuni ruoli, come quello del Papero (Claudio Santamaria) e della Ballerina (Sara Serraiocco), studiando a fondo ogni scena per rendere la loro performance più verosimile possibile.

Oltre all'enorme lavoro che, per esempio, Sara Serraiocco sviluppa sulle proprie movenze e sul proprio corpo - senza mai ricorrere a una controfigura - è notevole in questo caso il ruolo-chiave delle scenografie e dei costumi che nascondono, quando necessario, i veri arti degli interpreti. Ogni singolo aspetto di questo film è curato sino al minimo dettaglio; come afferma Luca Infascelli, co-sceneggiatore insieme a Gomez, tutto è stato deciso in fase di scrittura, tutto è stato limato e cesellato fino a ottenere uno storyboard di circa duecentocinquanta pagine, in cui nessuna inquadratura è lasciata al caso, sia dal punto di vista logistico che da quello visuale. Il risultato è un film solidissimo in cui nemmeno la struttura narrativa fratta e scomposta rischia di compromettere la comprensione della storia che anzi, nella sua imprevedibilità, diventa sempre più divertente e interessante. Gomez dimostra così contemporaneamente il suo talento nel raccontare per immagini e la sua capacità, già riconosciuta dal Premio Solinas conferitogli per questo soggetto cinematografico, di costruire e gestire rappresentazioni complesse. Un esordio che promette molto bene, dunque, non solo per il regista stesso ma anche per il futuro del cinema nazionale.

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