R Recensione

8/10

Before I Disappear regia di Shawn Christensen

Drammatico
recensione di Enrico Cehovin

Richie (Shawn Christensen), un aspirante suicida, riceve una telefonata dalla sorella con cui da tempo non è più in contatto, Maggie (Emmy Rossum), costretta a chiedergli di passare a prendere sua figlia Sophia (Fátima Ptacek) fuori scuola e di accudirla per qualche ora.

"Yesterday I would have told you to kill me but today I have a niece."

È questa la battuta del protagonista con cui si potrebbe riassumere tutto il film.

La storia di un uomo, un tossicodipendente passivo-aggressivo tendente al suicidio, che troviamo a inizio film immerso in una vasca da bagno, con i polsi tagliati, in ammollo in acqua e sangue, depresso, senza più stimoli, desideroso di scrivere la giusta lettera all'amore perduto della sua vita, lettera che continua a riscrivere, incapace di trovare le giuste parole.

Ma la Morte non è ancora pronta per venirlo a prendere; per lui, al contrario, è in arrivo una telefonata, la telefonata di sua sorella che gli chiede di prendersi cura di sua figlia per un paio d'ore. "Okay", accetta. È questo lo stimolo che rimette Richie in moto, che lo fa incappare in una serie di circostanze che lo portano a riflettere e lo costringono a mettersi di fronte a se stesso. Una serie di incontri che lo porta a capire chi siano le persone veramente importanti nella sua vita, a capire chi siano veramente e soprattutto a definire quale sia il modo in cui lui stesso vuole relazionarsi con loro. La sorella Maggie, l'amico Gideon (Paul Wesley), il capo Bill (Ron Perlman) e, per prima, la nipote Sophia, ragazzina intelligentissima e già molto matura per la sua età con cui legherà velocemente.

È una storia sulla riscoperta di se stessi, attraverso la famiglia, l'affetto e l'amore, istituzioni e sentimenti a cui aggrapparsi per tenere duro e avere un motivo per vivere quando tutto sembra ormai irrimediabilmente perso e la vita stessa inutile.

Opera prima del regista Shawn Christensen, anche sceneggiatore e attore protagonista, è la versione "estesa" del suo pluripremiato cortometraggio Curfew che nel 2013 si era aggiudicato persino l'Oscar. Le parti aggiunte, però, sono perfettamente fuse a quelle che compongono il cortometraggio originale non facendo mai trasparire la sensazione dell'operazione di ingrandimento svolta.

La vicenda si svolge in un arco ridotto di tempo, grossomodo ventiquattr'ore. Ricorda inevitabilmente Fuori orario di Martin Scorsese, anche se in questo caso si fa molta più leva su emozioni e sentimenti che sull'intreccio vero e proprio basato sulla serie di sfortunati eventi.

La regia è molto influenzata dal linguaggio del videoclip, e si affida spesso ad abbondanti sfocature e lunghi carrelli laterali paralleli all'azione. La musica abbonda e spesso sovrasta tutto il resto come nel ballo sulla pista da bowling, già presente nel cortometraggio d'origine, o nel lungo tragitto verso l'ascensore dominato da "Five Years" di David Bowie, invece nuovo.

La fotografia, che fa prevalere nero, rosso e giallo, è molto costruita, spesso addobbata con luci puntiformi dai colori sgargianti sfocate sullo sfondo.

Un occhio particolare viene dato alla tecnologia. Il protagonista si serve esclusivamente di telefoni fissi, da quello rosso scarlatto in casa sua, alla cabina telefonica in strada, al cordless in casa della sorella; l'unico smartphone con cui viene a contatto è rotto ed appartiene ad una ragazza che trova morta per overdose in un bagno. Forse perché la sua vita è appesa a un filo ed è proprio attraverso il filo telefonico che passa la telefonata, la prima della serie, che lo riporterà in carreggiata.

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