T Trailer

R Recensione

6/10

Allacciate le Cinture regia di Ferzan Ozpetek

Drammatico
recensione di Andrea Cominetti & alicegrisa

La pellicola, divisa in due parti da un importante salto temporale, narra la passione di Elena (Kasia Smutniak) per Antonio (Francesco Arca). Una passione improvvisa, travolgente, ma anche proibita, dal momento che Antonio è il nuovo ragazzo della sua migliore amica, Silvia (Carolina Crescentini), che lavora con lei e Fabio (Filippo Scicchitano) in un bar nel centro di Lecce.

Tredici anni dopo Elena è sposata con Antonio, ha due figli e, insieme a Fabio, ha realizzato il suo sogno di aprire un locale di successo. Il nuovo equilibrio subisce però una forte scossa con l’arrivo di una malattia improvvisa e insidiosa che colpisce Elena, mettendo anche a dura prova tutti quelli che le stanno intorno…

Andrea Cominetti (voto 6):

Forse il problema è il trailer ambiguo, rilasciato dalla 01 Distribution, che non permette allo spettatore di farsi un’idea precisa della storia in procinto di essere narrata: ci sono i colori caldi di una Lecce che gli appassionati di Ozpetek hanno già potuto apprezzare in Mine vaganti e poi la voce di Rino Gaetano, inconfondibile, che con la sua A mano a mano accompagna i gesti e i animi dei protagonisti. Viene da pensare immediatamente ad una commedia, una di quelle fresche, estive, da guardare sul divano sorseggiando una bibita ghiacciata. Niente di più sbagliato. Allacciate le cinture è, infatti, una pellicola drammatica, che pone al centro delle vicende una delle malattie più dure e difficili da combattere.

Dopo 110 minuti di proiezione, ciò che ne emerge è purtroppo una mezza delusione. Non tanto per gli interpreti quanto più per la storia, trafitta nel mezzo da tredici anni di pausa in cui può essere successo tutto e non essere successo niente. A mancare, infatti, è soprattutto una qualsiasi continuità tra la prima e la seconda parte del film, tanto che si potrebbe tranquillamente parlare di due pellicole diverse.

Un grande amore non avrà mai fine campeggia sulla locandina fuori dalla sala cinematografica, ma purtroppo ciò che arriva è dell’altro. Una grande passione, certamente, ma non l’amore, non quello con la A maiuscola. Se, infatti, gli ingredienti in gioco rimandano in un certo senso ai grandi drammi shakespeariani (differenza di classe, abisso culturale, interferenza dei cari), la miscela finale non può discostarsene di più. È, infatti, un amore fatto quasi esclusivamente d’incroci di sguardi e mani impazienti e che si raggrinzisce col passare del tempo, segnato dagli innumerevoli tradimenti di lui, tutti compresi e tutti perdonati dalla protagonista che subisce le ripetute infedeltà del marito senza protestare mai, neppure una volta. 

Gli attori, in questo caso, sono un capitolo a sé stante: se Francesco Arca non riesce ad andare oltre il suo sguardo magnetico, Kasia Smutniak risulta invece davvero intensa, capace di rappresentare la muta disperazione di una donna che da un giorno all’altro si vede mancare la terra sotto i piedi. Un plauso va anche ai comprimari: da Filippo Scicchitano, perfettamente a suo agio nel ruolo della spalla omosessuale, a Elena Sofia Ricci, chiamata a rappresentare una zia decisamente sopra le righe, fino ad arrivare a Paola Minaccioni, a cui Gianni Romoli e Ferzan Ozpetek regalano il personaggio più incisivo e divertente di tutta l’opera cinematografica.

Le cose si movimentano un po’ nel finale, ma questo davvero non basta a risollevare le sorti di un film purtroppo spesso sottotono. Dopo il grande successo di pubblico e critica di Mine Vaganti e la buona riuscita di Magnifica presenza era, infatti, ragionevole aspettarsi un qualcosa di più che non c’è stato. Non è un brutto film, ma non è neppure l’Ozpetek migliore, e sinceramente è davvero un peccato.

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alicegrisa (voto 7):

Si sono allacciate, ma più spesso si sono slacciate le cinture dell’universo ozpetekiano.  Specchi del senso comune, riverberi dell’Italietta della pasta e delle cartoline, i personaggi del regista turco, a ridosso dei ancora bacchettoni anni 2000, avevano la necessità di liberarsi dai luoghi comuni per arrivare al senso. Come per Le fate ignoranti e per Antonia che, senza cinture di sicurezza, riesce a conoscere davvero, per la prima volta, suo marito e il mondo incantato (appartentemente inspiegabile, assurdo, inaccettabile) di cui faceva parte.

Altra volta, altra storia. Negli ormai anni ‘10 l’egemonia culturale ha cambiato verso e i pregiudizi remano tra le minoranze portando il cinema del regista turco a ricercare non più la sfida anticonformista ma il passato incantato, quello di Sirk e dei melodrammi patinati. In questo caso si parla del “cielo di un amore” (un’immagine naif, ingenua, retrò quanto la canzone portante di Rino Gaetano) minacciato da turbolenze all’orizzonte: conviene prepararsi e stavolta le cinture sono da allacciare.

La metafora scelta ricorda il volo Península sospeso su Toledo, mentre gli amanti passeggeri attendevano lo schianto o la salvezza con l’aiuto tanto della filosofia da tragedia imminente quanto degli steward gay e alcool&drugs-friendly. Per Almodovar, nella sua ricerca sensibile e raffinata, la chiave di volta davanti alla morte è il piacere, mentre le cinture diventano un ripiano per la mescalina. Per Ozpetek , mai mainstream ma di imprinting classico, la risposta al terrore incombente è l’amore come segno di “eternità nonostante tutto”.

Per questo Allacciate le cinture è un film d’altri tempi, molto epidermico e poco mentale, girato con sapori e colori che confermano lo stile personale del regista. L’idea è giocare con i generi su una location da spot pubblicitario, di nuovo la Puglia (la Banca Popolare di Bari finanzia con il tax credit, il Ministero dei Beni culturali partecipa e il Salento in estate è ormai così affollato che la prossima estate dovranno realizzarne delle succursali).

La struttura, sul modello tesi-antitesi-sintesi parte dalla commedia per arrivare alla tragedia e tornare di nuovo alla “commedia consapevole” con il senno di poi. Ma i confini non sono netti e la spolverata di lacrime c’è un po’ dappertutto, anche nei momenti di humor (alcuni perfetti, altri meno adeguati).

La sensazione è allacciare le cinture per un giro su una giostra che non fa contorcere lo stomaco ma mira dritta alle emozioni; ogni reagente sembra convergere verso questo scopo, dalla storia “strong”, dai primi piani e dagli sguardi intensi all’amore liquido (il mare, la pioggia violenta dell’ouverture, il “galeotto” bicchiere di birra, le gocce di chemio che dalla sacca di plastica finiscono in vena, le tante, tante, tantissime lacrime)

Sembrerebbe un trucco se Ozpetek non portasse a termine tutto questo con i suoi modi lievi e sinceri, confezionando un’opera che assorbe i difetti in un effetto complessivo gradevole. È come se chiedesse la complicità dello spettatore nel condividere il codice (maschere, esagerazioni, personaggi stralunati) tipico del melò mentre, contemporaneamente, fa emergere un racconto credibile e capace di generare empatia.

La principessa innamorata del guerriero è un topos e, in questo caso, si arricchisce ancora di più l’archetipo se lei ha un amico gay e lui è omofobo e razzista. Lei lo vede sexy e sporco come il vecchio spot della Coca Light, è turbata dal suo bere una birra come se fosse un chupito, intenerita dalla sua dislessia. Poi è tutto coerente, l’attrazione fatale, l’invincibilità di quella moto tra i campi fino al mare, gli anni che passano, le incomprensioni del “dopo”, il perdersi e – grazie proprio alle turbolenze di quel volo– il ritrovarsi.

In un film imperniato sull’estetica del corpo come veicolo di trasformazione e comunicazione (Smutniak e Arca hanno perso e preso chili sul modello ormai di moda americano) i protagonisti convincono e il parterre degli altri personaggi, come spesso avviene in Ozpetek, diventa corale: tutti bravi e credibili, in particolare la zia Elena Sofia Ricci e la compagna di stanza Paola Minaccioni, creature sopra le righe sospese tra la fiaba e il dramma quotidiano.

Ozpetek le sue battaglie le ha combattute, ora è il momento di sedersi sulla spiaggia per un momento di divertita contemplazione. Il suo cinema è sempre più lirico e visionario, graffia di meno ma permette in ogni caso di passare due ore con una gradita sospensione di incredulità.

 

V Voti

Voto degli utenti: 4,3/10 in media su 3 voti.
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8
7
6
5
4
3
2
1
alexmn 5/10

C Commenti

Ci sono 6 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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resentes (ha votato 1 questo film) alle 15:08 del 25 marzo 2014 ha scritto:

a me è piaciuto grande Ozpetek, grandissima la smuniak

alexmn (ha votato 5 questo film) alle 6:01 del 26 marzo 2014 ha scritto:

se ti è piaciuto forse 1 è un po' poco no?

resentes (ha votato 1 questo film) alle 12:25 del 26 marzo 2014 ha scritto:

il metodo tecnico di valutazion si presta ad equivoci: quando si clicca sulla prima stella, già esprime una valutazione non modificabile e non si può cliccare sulle successive es. tre o quattro stelle

alejo90 alle 13:28 del 26 marzo 2014 ha scritto:

veramente viene chiesta una conferma sull'espressione del voto...

resentes (ha votato 1 questo film) alle 15:21 del 26 marzo 2014 ha scritto:

ah! non lo sapevo ed era il mio primo giudizio su un film di questo sito," Allacciate le cinture", a mio avviso, merita 8/10

alexmn (ha votato 5 questo film) alle 17:22 del 26 marzo 2014 ha scritto:

no problem la prossima volta basta che clicchi direttamente sulla stella corrispondente al voto